Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



martedì 9 marzo 2010

COM.NET


a Mariella

(Eraclito disse, agli ospiti che lo videro scaldarsi davanti a un forno:)
Anche qui ci sono dèi.
Aristotele, De partibus animalium

Si è già quasi spenta l’eco destata dal reperimento, nel 2302, appena sette anni fa, dell’insegna mutila che porse alla nostra generazione l’enigma delle sue scarse, tristemente chiassose lettere: COM NET.
È necessario menzionare, per mero scrupolo, il modesto seguito (dopo la sproporzionata eccitazione che accese quando fu presentata all’universa assemblea dei dotti) dell’ipotesi di Tetsuo Amitabha, spericolato storico delle religioni, il quale credette di vedere, dietro al sorriso di sfinge ingabbiata di quei sei caratteri colorati, il composto originario: COM[UNITÀ (variante COMITATO) DEI FAR]NET[ICI. Sarebbe ridicolo sprecare oggi altro tempo sul tempo che egli sprecò allora per dimostrare che la supposta comunità era una sorta di setta tantrica, o una fratria di santi idioti alla bizantina (un genere di spiritualità non a caso molto in voga negli anni della cattedra di Amitabha, giusto dopo la fine della X Guerra Mondiale).
Solo alcuni di noi ricordano con gratitudine inconcussa il lucido sforzo di un meticoloso e geniale antiquario, il docente navajo Cane Che Ritorna Al Suo Vomito (i colleghi che fossero anche suoi amici potevano osare chiamarlo, con affetto e una punta di snobistica melensaggine, Coming Back Dog), a cui si deve la scoperta della lontana consuetudine, presso le comunità dei secc. XX-XXI d. C., del “recupero dei crediti” (dicitura talora contratta in “recupero crediti”, cfr problema droga etc., barbarismo che si vuole introdotto pochi decenni dopo i grandi regimi totalitari).
È noto che, non da oggi, tale costume (descrivibile come un esercizio di minaccia magica preliminare contro i debitori di grandi associazioni di mercanti) è stato sostituito dal ritorno al più antico, nonché assai più comprensibile istituto della schiavitù temporanea, che l’Eone Cristiano aveva preteso di sradicare, quasi fosse una manifestazione avventizia, e non necessaria e permanente, dell’umana natura.
Sembra accertato che le leggi della presunta Comunità (o Comitato: anche più numerosi e gravi i dubbi sulla seconda parte del frammento, NET, che, se parola integra, nella lingua imperiale del tempo, l’inglese, significa “rete”, con riferimento alla vinculatio magica, alla fattura che irretisce) sembra accertato che le sue leggi fossero molteplici, cangianti e spesso del tutto (in apparenza) futili, sì da configurare un’irruzione probabilmente deliberata, e stizzosamente sconfessata, di caos e casualità nell’ordito dei suoi principî fondamentali; similmente pareva agire il saggio taoista: ma gli effetti di questo ipotetico modello furono, in COM.NET, precisamente contrari. Come infatti ogni organismo troppo organizzato, nella sua fittizia solidità e persino nelle sue fittizie manovre opportunistiche per conservarla, COM.NET recava in sé il mistico fermento della propria dissoluzione, e lo alimentava e corroborava – almeno se si consultano i testi, gli appunti e gli archivi superstiti, pochi frustuli in verità – con ammirevole paranoia.
Alcuni dei membri[1] sembra non fossero consapevoli di questa necessità, scritta al di sopra delle loro teste quasi in stampatello e senza nemmeno un lampo, forse, di tragica ironia, ed elaborarono una complicata escatologia, che persino nei suoi lineamenti mal conservati (o piuttosto proprio a causa della sua tradizione lacunosa e disorganica) per poco non induce a giustificare la famigerata suggestione del dott. Amitabha: secondo costoro, infatti, l’“ufficio” (cioè il luogo di riunione quotidiana della setta, e la setta stessa come idea incarnata, vedere oltre) sarebbe stato distrutto, alla fine dei giorni, dal maestoso, esplosivo, indiscutibile Arcangelo del Fallimento, cinto di luna, turbante e barracano, e i suoi capi, residenti nell’irraggiungibile Nord, sarebbero stati convertiti con la forza al Dharma imperituro.
Alla nostra era di dolorosa ricchezza umana, e di veggente stanchezza, immaginare l’esistenza quotidiana di quei settari riesce più difficile che ricostruire, con l’intelletto e la fantasia, un olocausto di prigionieri a Tenochtitlàn nel XV sec. d.C.; ma ci soccorre di nuovo il prezioso lavoro del dott. Cane Che Ritorna, il quale, nel suo saggio Ricerche sull’idea di “ufficio” nei secc. XX-XXI, compendiò le sue documentate intuizioni in un capoverso memorabile:

Se la vita arcaica era fondata sul sacrificio di un essere nobile e divino, fonte della circolazione delle forze e dei valori; la vita nell’ufficio (dell’ufficio) era fondata sul sacrificio di tutto ciò che è semplicemente naturale e umano ad una diade suprema di divinità, Noia e Tempo Libero, rispettivamente il principio femminile e quello maschile nella teologia dell’Età Consumistica. Fra i due vige una relazione dialettica del tipo più classico: si dà cioè una contrapposizione essoterica, come nelle coppie di concetti dentro l’ufficio/fuori l’ufficio, dovere/piacere etc.; e una unità profonda ed esoterica, in virtù della quale i due principî si rafforzano vicendevolmente, e amorosamente s’intrecciano come i serpenti sul caduceo di Hermes: così avveniva che il tempo libero si facesse sempre più simile alla vita in ufficio, dominio della dea Noia; e che la vita privata, il cui patrono era il dio Tempo Libero, fosse insistentemente portata, ed esibita, nell’ufficio. Simbolo di questa unità e di questa congiunzione era il loro figlio primogenito incarnato, Telefono, strumento sacro e di lavoro e di comunicazioni private, che dalla sua forma arcaica e venerabile giunse, per complicate metamorfosi, al suo avatar minimo – seminale, onnipotente, mistico –, il cosiddetto Telefono Cellulare o Telefonino: escogitato da raffinati esoteristi della fine del XX, ingannevolmente umile e docile, condusse all’oblio (tipica mossa di sacerdotale obliquità, distruggere per conservare) la stessa religione del Telefono, poi soprannominato Fisso e disprezzato a beneficio del nuovo o Mobile (strana ossessione, sia detto per inciso, l’opzione del Mobile a spese del Fisso in quell’epoca di atroce, sognante inerzia).

Nello studio, pubblicato nel 2035, quando ormai del reperto si occupavano i soli specialisti, una nota a piè di pagina discute brevemente l’ipotesi di lettura COM[A PLA]NET[ARIO, con riferimento a un terroristico disegno di ottundere, per contagio progressivo, le residue facoltà percettive dell’umanità coeva. Ipotesi poco felice, e infatti mai ripresa e approfondita, poiché è quasi accertato che COM.NET, qualunque cosa fosse, non ebbe mai alcun disegno cosciente su alcunché: anche se, come ogni setta esoterica, accettava il principio, o l’accorgimento, della doppia verità; è infatti documentato che mentre all’esterno, rivolgendo il suo volto di angelico rigore ai clienti morosi (cioè gli avversari, ex associati, da affatturare), gridava il motto “La legge non ammette ignoranza”: all’interno, rivolgendo il suo volto di caotica clemenza e caotica giustizia ai suoi “impiegati”, lo rovesciava. Lì dentro, la legge ammetteva l’ignoranza: la implicava. Lì dentro, l’Ignoranza era Legge.
Mi sia dato di concludere con una fantasia archeologica, e un suggerimento mistico: e se la misteriosa pittura detta della “Vocazione di Matteo” e attribuita a Caravaggio (XVII sec. d. C. circa), un tempo collocata in un tempio cristiano dell’antica città di Roma (la stessa del nostro ritrovamento), ricevesse nuova luce dall’accostamento con quella strana confraternita del XX-XXI sec. di spettrali asceti del “recupero crediti”? Una luce nuova, come quella che irrompe, vesperale indefettibile aurora, dal gesto di Chi entra per la porta senza chiedere il permesso?
Lì un uomo, normalmente abietto, che riscuote le tasse della sua gente per un occupante forzuto e ipocrita, si bagna di chiaro stupore ad un cenno imperioso, non mollemente tirannico: lì occhi abituati alle mezze luci, all’umidità e alla crudezza, incontrano un occhio mite e tremendo, che fende la penombra incantata dell’oro come un’ebbrezza di sconfitta.
Forse lo scandaloso lume della Grazia poteva cadere anche su quei tavoli, sui tavoli di COM.NET, su quelle nuche prone a idoli affamati, su quelle carte pallide d’infamia? Forse persino in quell’Erebo di occulti deliri due “collaboratori” potevano mimare, furtivamente, il rito supremo con gesti diversi da quelli dell’orribile Coppia Divina, Noia e Tempo Libero, allacciata in un sonno turpe ed idiota: con i gesti dell’Eros, di quel culto arcaico che oggi pochi avventurosi cercano di riportare alla vita con sforzi meravigliosi e inammissibili? Se così fosse, l’esumazione di questa torva, enigmatica insegna potrebbe sfuggire agli specchietti dei dottori e alludere alla rinascita, ancora di nuovo, anche oggi, fra di noi, fra me e te, del dio che confonde le menti, che spezza e riannoda il filo, che scompiglia le carte, sia quelle soffocanti (come le carte di COM.NET, forse come questa, che mi affretto a concludere) sia quelle preziose, che si ride di debiti e crediti e nulla s’affanna a recuperare, fuorché la sinuosa nudità delle essenze.

[1] Nel linguaggio della setta, che utilizzava idiosincraticamente sintagmi allora diffusi, “impiegati con contratto di collaborazione” – cioè, secondo il chiarissimo collega navajo, servitori vincolati da un patto rituale per cui si simulava d’essere del medesimo grado dei superiori o mistagoghi, anzitutto rivolgendosi l’un l’altro con l’oggi quasi universalmente abolito “tu” (si suppone sopravviva ancora presso alcuni amanti delle caste più basse in certe tribù micronesiane, e vi sia usato proprio per il suo potere antinomico).

2 commenti:

  1. "È noto che, non da oggi, tale costume (descrivibile come un esercizio di minaccia magica preliminare contro i debitori di grandi associazioni di mercanti) è stato sostituito dal ritorno al più antico, nonché assai più comprensibile istituto della schiavitù temporanea, che l’Eone Cristiano aveva preteso di sradicare, quasi fosse una manifestazione avventizia, e non necessaria e permanente, dell’umana natura".

    Deliziosa ironia, tanto più efficace quanto più radicata in quella che mi pare essere una ineludibile verità. Ma tutto il pezzo riesce in pieno nell'annichilimento e nella derisione delle nostre pallide divinità mercantili: ci sono casi in cui il vecchio espediente del documento recuperato si rivela ancora perfettamente oliato e pronto alla bisogna.

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