Il racconto ʻAlī Bābā e i quaranta banditi come
fiaba gnostico-ermetica. ʻAlī Bābā è l’anima mercuriale umile, prudente,
accorta: i quaranta banditi (ḥarāmī,
i “fuorilegge”, dalla stessa radice di ḥarām,
“proibito”) sono gli arconti del Tempo (quaranta è il numero dell’attesa della
rinascita, l’intervallo del digiuno, del viaggio nel deserto, dell’isolamento
purificatore), che penetrano nella caverna del cosmo per utilizzarne i tesori;
osservandoli nascosto nella chioma di un albero, ʻAlī Bābā carpisce le “parole
di passo” che consentono di aprire e chiudere la porta di pietra, “Apriti,
sesamo” – “Chiuditi, sesamo”. Il seme di sesamo è tra i più piccoli, immagine
del quantum omeopatico di fede che smuove, trasmuta la pietra delle montagne, è
come il puntino sotto la bā’ da cui è
creato l’universo, è l’atomo da cui si estrae la potenza di mille soli, è la
fonte di un olio caldo e sulfureo, è il seme di banyan della Chāndogya Upaniṣad.
La serva Marjāna (“Corallo”, uno dei simboli della Pietra), sapida, salina,
uccide i fuorilegge, consentendo al padrone di divenire il segreto possessore
di tesori infiniti. Il fratello di ʻAlī Bābā, Qāsim, “Colui che distribuisce i
beni”, nome di uno dei figli maschi del Profeta (tutti morti fanciulli),
invidioso, impaziente e imprudente, dimentica la formula per uscire dalla
caverna e viene ucciso e squartato dai Quaranta: la croce degli elementi lo trattiene
nella morte, nell’abisso, è la parte dell’Opus e dell’anima che non sopravvive
alla “morte seconda”, ma con il suo sacrificio nutre la prosperità dell’altro.
lunedì 26 agosto 2013
I misteri dell’incesto
“L’incesto simboleggia l’unione con il proprio essere,
significa individuazione o diventare un sé… L’incesto è semplicemente l’unione
del simile con il simile” (Jung).
Sogni erotici con la madre (Cesare): Binah, fortuna come
Giardino dell’Eden.
Di solito il tema archetipico è quello del re che vuole
sposare la figlia (Pelle d’Asino, Pelle di Gatto, Pelle di porco).
“Il principe Danila-Govorila” (Danil che Parlava), stupenda
fiaba russa, di immensa portata psicologico-ermetica, sull’iniziazione all’amore
attraverso il desiderio incestuoso. A causa di un segno, di un anello che si
adatta solo al dito della sorellina, simbolo dell’ananke della natura caduta, il giovane principe decide di sposarla,
sordo ad ogni prudenza: la ragazza sfugge alle nozze illecite con una catabasi
sciamanica, dopo aver fabbricato quattro feticci (Kukla) che dispone in corrispondenza dei punti cardinali. Negli
inferi incontra la sua gemella, figlia di una baba yaga, e ne diventa
l’alleata. Riemerse dagli abissi, le due fanciulle identiche vengono portate al
cospetto di Danila-Govorila, che riconosce la sorella solo sollecitandone la
naturale pietà con una ferita illusoria.
L’anima-sorella che sposeremo ha lo stesso aspetto della
sorella sognata nell’infanzia, cui ci ha legati un anello fatale, un racconto
troppo immediatamente condiviso: ma deve riascendere insieme alla prima
dall’oscurità dell’inferno, rinascere dalla rinuncia, da un distacco che ha
l’ampiezza dell’intero universo. Per tutta la vita ricorderemo che è la figlia
di un’orchessa, che avrebbe bramato le nostre ossa e il nostro sangue se la
sorella impuramente amata non fosse andata a cercarla, se non ci avesse fatto
amicizia.
Incesto, gilluy arayot,
svelamento delle nudità: Cam “scopre la nudità” del vecchio padre Noè: la sua
discendenza sarà maledetta, vivrà il rapporto con Dio come falsa immediatezza, participation mystique. Nella qabbalah è metafora della rivelazione dei segreti
esoterici. Mimesi infelice, impossibile, delle congiunzioni divine (al limite
solo i Patriarchi ne erano capaci, osserva Yosef de Hamadan: possibilità
marginale). Hesed: abominio
(nelle interdizioni del Levitico sui
rapporti incestuosi), ma lo stesso termine indica la Tenerezza amorosa di Dio,
una delle sefirot supreme.
Nella fiaba di Danila Govorila, è la sorella a suscitare
l’agnizione e il desiderio del fratello. Allah “ha creato per voi della mogli
dalle vostre anime (jaʻala lakum min
anfusikum azwajan)”. Poi però è il principe a volere le nozze a tutti i
costi, e la sorella a inorridire per la violazione: come dire che lo spirito
sarebbe appagato dall’incesto, che in qualche modo ricondurrebbe l’anima al suo
status, facendone una regina, mentre è proprio l’anima a urgere verso la
differenziazione e dunque la morte, l’iniziazione, la ricerca di un doppio.
Alla fine il principe sposerà un’immagine
dell’anima-sorella, che però proviene dall’Hades, è la figlia di un’orchessa
(baba yaga), di un demonio: un rischio di morte, di divoramento, esorcizzato
attraverso l’ospitalità del rito nuziale. (L’hostis come ospite-nemico: l’esogamia è un contratto con
un’estranea. Amerai il tuo prossimo: “prossimo” è reʻa, affine a raʻ,
“male”; amare il prossimo è amare il proprio male, “amate i vostri nemici” è
semplicemente il ta’wil del
comandamento mosaico). Tuttavia è l’anima-sorella a ricondurre sulla terra
l’anima-sposa: si tratta di un’iniziazione della stessa anima, sdoppiata, resa
molteplice. La perplessità del principe, che non riesce a distinguere la sposa
dalla sorella, si scioglie facendo appello alla com-passione di chi ha bevuto
lo stesso latte ed è uscito dallo stesso grembo: la sposa venuta dalla morte,
invece, avrà con lui un legame mediato, ritualizzato.
L’anello della strega: vincolo dell’ananke naturale, in cui tuttavia si cela il segreto del legame
nuziale.
Il cosiddetto ‘tabù’ dell’incesto, l’unico residuo sacrale
nei nostri codici morali e giuridici (fino a qualche decennio fa anche
l’omosessualità maschile), come ogni precetto negativo è un invito a varcare
una soglia iniziatica: la relazione nuziale, esogamica, è il modello del sanctum come recinto della legge, del
rito, che preserva dall’illimitatezza caotica del sacrum; tuttavia ogni gamos
capta il riflesso dello hieros gamos
celeste che ha sempre qualcosa di incestuoso, di superiore alla legge.
venerdì 23 agosto 2013
LA SPOSA IMPERIALE NUVOLETTA DI PRIMAVERA, RIPUDIATA, TRASCORRE I SUOI ULTIMI ANNI IN UN MONASTERO BUDDHISTA
La notte non è più vasta della
mia mente,
ma più compita, aperta e
abbandonata.
La pena non è più reale della gioia
–
l’una e l’altra increspano
quest’acqua
con un brivido che la clessidra
non sa catturare, ma appena
riflettere.
La monachella addetta al mio
servizio
mi chiede se, dopo il tè, io
desideri altro.
Desiderare? No, ma se proprio
dovessi
chiedere ancora qualcosa,
sarebbe la Via
per penetrare con lucente
attenzione
ogni gioiello, ogni dito di
polvere,
ogni nome adorato e detestato.
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