Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



martedì 17 settembre 2013

Le avventure di Pinocchio, un romanzo iniziatico per l’umile Italia (Appunti per una conferenza presso il cenacolo Perì ArXôn)




Osservazioni generali

Sola, la cultura alfabetizzata si allontana dal modello tradizionale di educazione dell’immaginazione, dunque di educazione tout-court. I popoli letterati credono che i popoli non letterati siano come i bambini, che confondono il sogno e la veglia, la fantasia privata e la realtà comunitaria, pubblica, soggetta al vaglio della ragione, della logica binaria: in verità si tratta di una proiezione, sia riguardo ai bambini, sia – a maggior ragione – riguardo alle culture tradizionali. Già negli anni della fanciullezza si impara a distinguere, a tracciare i confini dettati dalla consuetudine: ma, a differenza dei bambini delle culture alfabetizzate, quelli delle culture fondate sull’oralità vengono accompagnati a sperimentare una terza dimensione, ermetica, la dimensione del buon senso trascendente, che vede con entrambi gli occhi, e in modo lievemente strabico. Nella cultura tradizionale si impara a lavorare con i sogni e con l’immaginazione: viene gettato il seme per comprendere che il mondo intero ha una base poetica, immaginale, intuizione che è al cuore di ogni religione, sia quelle pagano-mitiche sia quelle profetiche-rivelate. Solo i bambini moderni assimilano un paradigma fondato sul dualismo tra molle immaginazione e dura realtà: un paradigma mutilato e mutilante, e non è paradossale notare come renda l’uomo vulnerabile alle suggestioni della moda e della propaganda. Meno si è ricettivi alla meraviglia dell’universo, alla sua gratuità, al dinamismo immaginale che di istante in istante lo crea e ricrea, meno si è muniti contro gli incantesimi impersonali, contro il prestigio della forza, contro i pifferai e i burattinai che si aggirano velati per asservire, per rubare l’anima, per truffare il fanciullo impaziente e impreparato.
Chesterton: per molti, durante l’infanzia, dopo la scoperta dell’inganno paterno, Santa Klaus si contrae in un punto, per me si è espanso diventando più grande dell’universo.

Oggi si presta attenzione solo alla ‘morale’ delle fiabe: si dimentica che l’orizzonte antico è quello dell’iniziazione, in cui comportamento e conoscenza sono tutt’uno come Sophia, saggezza. La fiaba ci chiede anche una riforma conoscitiva, cognitiva, epistemologica. Ci invita a diventare re e sacerdoti, a vivere nel mondo senza appartenergli, come liberati-in-vita, mystai: e ciò richiede sensi nuovi, un’immaginazione rinnovata, una ragione e un intelletto trasfigurati. Al liberato il mondo terreno appare come la crosta che emerge da un oceano di possibili, dalle acque profonde dell’immaginazione creatrice: una crosta mobile, continuamente rifatta. La mente poetica, in cui senso, immagine e ragione si congiungono, diventa mondo, coopera con il farsi, con il poiein e il poieisthai del mondo: il re delle fiabe è eticamente e cognitivamente trasognato, scorre con l’universo perché è morto e rinato, è nato due volte. Per questo più di una volta è un ragazzo ritardato, un idiota, un buono a nulla. 

Pinocchio è stato il primo libro della mia vita. Volevo leggerlo da solo, a differenza delle fiabe francesi e tedesche. Edizione con le illustrazioni di Benito Jacovitti: fanno emergere il caos mercuriale e folle dal paesaggio e dalla lingua del libro: paesaggio toscano povero e ordinato, mondo puntiglioso, pieno di fisime, bizzarrie e impuntature, di umorismo tra il bonario e l’amaro-pungente (antico tratto dell’umile Italia, l’asciuttezza scabra e l’acetum).

Eliot: la poesia opera sulla psiche profonda del fruitore (caratterizzata da una ‘logica’ simmetrica, non-duale) proprio nel momento in cui la logica apparentemente binaria del linguaggio lo ‘distrae’ e ‘inganna’. Così la fiaba è iniziatica in quanto, proponendo immagini e fini legati alle consuetudini di una data epoca, rende il cuore del bambino ‘strabico’, ermetico: lo trae da servo a libertà, fa del burattino compulsivo un puer in carne ed ossa, lo allena al karma-yoga, a vivere nel mondo senza essere del mondo. 
Pinocchio itinerario iniziatico isiaco-cristiano per l’umile Italia morta dopo gli anni ‘50 del ‘900. Difficilissimo leggerlo ad un bimbo del 2013: troppo poco distante per uno straniamento completo (quale si sperimenta ascoltando le fiabe classiche straniere, fino ai francesi e ad Andersen), ma non abbastanza prossimo per l’identificazione preliminare, iniziale.

Come tutte le opere popolari veramente grandi, Pinocchio è colmo di paradossi sottili. Ad esempio, è paradossale che una “anti-fiaba” italiana (incipit in cui il re è sostituito da un umile pezzo di legno, explicit in cui l’eroe viene semplicemente trasmutato in un fanciullo come tutti gli altri) abbia avuto più successo di tutte le fiabe classiche. Inoltre, pur essendo un racconto irto di enigmi, bizzarrie, incroci avventurosi di generi letterari, vicoli ciechi, strade interrotte, ironie impalpabili e acri fumisterie, colpi d’ala geniali e freddure da quattro soldi, dà l’impressione di una coerenza straordinaria e induce ad accettare ogni invenzione: segno che si tratta davvero di un capolavoro, di un cosmo vivente.

La fiaba è pensata per i fanciulli in età mercuriale, 4-14 anni: burattini di legno appesi a fili invisibili (le passioni dominanti, il karma astrologico, nella loro caotica auroralità) e guizzanti, vivaci, affettuosi, mutevoli nell’immutevolezza, scansafatiche, sedotti dal piacere e ogni volta richiamati dalla pietas.
L’idea è stata: tracciare un percorso iniziatico per i bambini dell’epoca del Giannettino e del Minuzzolo, i nuovi italiani, figli di poveruomini, chiamati a edificare famiglie e comunità con l’apprendimento, il lavoro, l’onestà. Di Pinocchio ormai fanciullo di carne, osserva Zolla, non si può dire nulla, se non che visse felice e contento: similmente di Lorenzini-Collodi, giornalista risorgimentale, figlio di mamma abitudinario, traduttore di letteratura francese, non si può dir nulla in quanto autore del Pinocchio, temporaneamente posseduto da una grazia e da un genio tutti letterari o guidato da conoscenze iniziatiche attinte da fonti pressoché irrecuperabili. Ha cancellato le tracce, o non c’era nulla da cancellare? Dilemma che non ci interessa più di tanto. Basta avere nel cuore Apuleio e i racconti delle fate francesi per disporre di tutti gli archetipi di un itinerarium misterico, di una trasmutazione a cui convergono mille metamorfosi.
Libro enigmatico: asciutto, impietoso, sobrio, con punte di fantastico bizzarro, ghigni sarcastici, limpide evocazioni di archetipi perenni. Leggerlo a un bambino vuol dire piantargli nella memoria scene che segretamente ne informeranno l’esperienza. Difficile, però, liberarlo dalle incrostazioni del melenso disneyano: l’Italia interiore ed esteriore di oggi è incredibilmente lontana da quella provincia povera, burbera, attraversata dal passo leggero e trasformante di una Iside neanche troppo sottilmente incestuosa, edipica.
Cura omeopatica per molti vizi italiani: la piccineria provinciale, l’individualismo irresponsabile, complementare ad esso la grigia morale della probità e del lavoro, l’ermetismo fasullo della furbizia, la famiglia edipica e anerotica. Le fiabe francesi insegnano a diventare gentiluomini ammodo, con lo sguardo doppio (ipocrita) del saggio che ha incontrato le fate; le avventure di Pinocchio insegnano a diventare ‘bravi ragazzi’, con lo sguardo doppio-ermetico del bambino edipico che avrà l’immagine della Fata per sempre fissa nel cielo dell’immaginazione onirica. Ma se il Principe sposa la Gatta Bianca ritornata principessa, né il Lucio di Apuleio né Pinocchio sposano la Fata-Iside: resteranno fanciulli per sempre, il loro eros modestamente avventuroso non sarà paragonabile ai casti slanci riservati alla Madre-Madonna.

Cenni di eros edipico in Pinocchio: il naso menzognero sgrossato, il pianto amoroso davanti alla lapide della Sorella, le mani della Madre baciate con trasporto. Romanticismo della castità nostalgica: annunciato dal fantasma della Bambina, irraggiungibile nella notte della morte apparente.

Morale piccolo-borghese: studio, lavoro, sincerità-onestà, frugalità, modestia, pulizia, amore per i genitori. La minaccia ottocentesca dell’ospedale e della prigione.
Moralismo di Pinocchio: sorriso dell’autore, ma non come ci aspetteremmo noi post-moderni. Ogni testo è come le pere di cui Pinocchio si nutre dopo la prova del fuoco: la polpa piacevole non sazia, occorre mangiare anche le scorze superficiali e l’intimo torsolo, con i suoi semi insipidi. La devozione per il padre putativo e la madre-sorella celeste è la chiave della trasformazione, quella che consente di tenere nella stanza rinnovata la spoglia inerte del burattino-marionetta, non più manovrata dalle incostanti passioni (neurospasthenai di Marco Aurelio: la passività alle passioni viene paragonata al movimento della marionetta tramite i fili. Interessante: “essere mosso attraverso i fili” in greco suona come “avere uno spasmo nervoso”).
Incostanza: “nella vita del burattino c’è sempre un ‘ma’”.

I famosi racconti di Pinocchio: andamento bizzarro della logica infantile, ma anche coerenza insana della logica nevrotica, con i suoi nessi causali sui generis, giustificatori – una discursio interiore che impedisce di far ruotare i contenuti mentali intorno al centro. Il lavoro al ‘bindolo’ è l’ascesi della preghiera, che dà ordine alla macina della mente. Il bindolo abbindola la psiche burattina, la aggioga (binda, to bind).

Doni ermetici delle fiabe, sal sapientiae: familiarità con la crudeltà, con l’ingiustizia e l’inganno, assenza di sentimentalismo. Iniziazione e morte (teletè-teleutè).

L’invocazione al babbo mentre è appeso alla Quercia: il grido di Cristo.

Pinocchio e il Cane: naso lungo, sostituisce Melampo, aiuta Alidoro e ne viene aiutato – Sirio, Anubis, Hermes-Thot.
All’inizio è tutto naso (curiositas, istinto) e niente orecchie (ascolto, fede, obbedienza): la metamorfosi asinina capovolge la situazione.

Odore di mezza quaresima nel Pesce-cane: pasqua di rose dopo la trasformazione.

Il Grillo è l’iniziato nel simbolismo egizio perché non usa la bocca per parlare-cantare, ma il ventre.

Attis e le caprette nei testi misterici.

Pinocchio mercuriale, salaputtium, “cazzetto buffo” (il naso fallico, impertinente). (Nesso mercuriale tra il piccolo membro eretto e la parola, vedi l’epigramma di Catullo: Calvo, di corporatura piccola, di mimica vivace, avvocato dotatissimo, viene chiamato da un uomo del pubblico salaputtium disertum, “un cazzetto eloquente”).

Pinocchio è il Mercurio (fanciullo inafferrabile, capriccioso, furbo e sciocco, amorale e di buon cuore, di legno e quindi hyle, materia prima, termine aristotelico che secondo l’etimo vuol dire ‘legna tagliata’: Collodi lo chiama burattino anche se è in realtà una marionetta. Burattino viene da buratto, la stoffa con cui si abburrattava la farina), il seme di pino dionisiaco, il raggio di sole o aktis-Attis (devoto castrato della Dea Cibele) che discende negli inferi attraverso le prove dei quattro elementi (in particolare: il fuoco con Mangiafuoco e il Pescatore Verde, l’aria con il Colombo, simbolo dello Spirito Santo, e l’impiccagione, l’acqua con le varie immersioni e quella definitiva per entrare nel ventre del mostro marino) per risorgere come puer aeternus, Filius Philosophorum, figlio del falegname.

I pesci che divorano il fallo di Osiride, i pesci che divorano la scorza asinina di Pinocchio. Lettura esoterica del mito egizio da parte di Collodi? Uccisione-fissazione del mercurio impuro, della ganga asinina. Seth, l’Asino, è il fallo come ‘proprietà’, il desiderio egoico? (Nella lettura ermetica, Seth è il guscio duro che avvolge, nascondendolo e proteggendolo, il liquido germe vitale, Osiride). L’Omino di Burro e l’Asino che si impossessa di Pinocchio, che diventa Pinocchio, sono solidali con la Fata, maga, signora delle metamorfosi e degli animali, sorella e madre.
Il fallo di limo nilotico che Iside attacca a Osiride ricondotto alla sua integrità è il corpo di sogno (lingasarira) del dio ormai divenuto signore dei morti? Il tenero amante della Dea, il giovinetto evirato o ferito (Adone, Attis), diviene re dei vivi e dei morti e fratello-sposo attraverso lo smembramento e il dono magico di Iside, culmine della sua cerca amorosa.
Il morbido fallo di fango è forse il trasognamento che l’Ulrich di Musil (Osiride della dissoluzione moderna, “uomo senza proprietà”) considera essenziale all’amore androgino e libero, all’eterna infanzia spirituale.

L’eroe apollineo è senz’altro, come dice Emerson, immovably centered: fisso alla propria stella, nobilmente incatenato all’ananke del proprio destino semidivino. Ma nella fiaba l’eroe è anche colui che è in grado di ragionare a rovescio, di diventare ermeticamente, come Ulisse, Nessuno (Outis, ovvero Metis, che significa Non-qualcuno ma anche Saggezza, la divina saggezza che Zeus inghiottì per concepire Atena: la figlia eruppe dal suo sahasrara raggiante e armata, vergine di luce, androgina, mediazione perfetta) e come lui polytropos, multiverso, dunque multicentrico. Gli accidenti del suo itinerario gli fanno attraversare metamorfosi mirabolanti: travestimenti, pietrificazioni, metamorfosi. Il pathos di queste tappe iniziatiche è dionisiaco: l’eroe risorge come fluente signore della vita, re dei vivi e dei morti, sacerdote e monarca, ricco di doni, intimamente svuotato e pieno di succo, di linfa.

Borges dice che Ulisse, nel suo nostos ermetico, vagabondava “come un cane”: privo di dignità, ingegnandosi sempre di sfuggire all’ostilità di uomini e dei, figlio della Tyche come si sentiva Edipo, anonimo, una maschera sballottata sui flutti. Ma l’unico fine delle sue peripezie, e in fondo anche l’unica causa, era il desiderio di tornare al suo scoglio, al letto nuziale piantato nel suolo, alla vecchia moglie, tessitrice rammemorante. 

Mortale è l’errore che confonde la normalità di cui ha fame l’eroe fiabesco con l’adattamento (conformari huic saeculo): normale è invece chi si mantiene fisso alla sua stella, appeso al nulla e insieme all’altra faccia del mondo (Dio ha appeso il mondo al nulla, dice Giobbe), normale è chi formula un voto, chi vive consumandosi nell’arco infinito gettato sul vuoto dal voto.

Struttura del racconto

·         Prologo in cielo: scontro buffonesco tra il dio ebbro e il demiurgo costruttore.
·         Fuga dal Padre: fame e incinerazione dei piedi (prima fissazione). Veste e Libro, segni di caduta e redenzione.
·         Tentazione della commedia mondana. I denari o talenti che avviano la peripezia sono consegnati dal Burattinaio.
·         I trickster, omicidi e truffatori. Tentazione del ‘pensiero magico’. Prima morte iniziatica, ingresso nel palazzo della Fata-Sorella. Medicina amara, castigo della menzogna, ‘pedagogia dell’errore’.
·         Truffa, prigione, incontro con il Serpente. Prima ‘metamorfosi’ animale, in cane.
·         Morte della Sorellina, scomparsa e ricerca del Padre. Paese delle Api Industriose, luogo della pedagogia del lavoro.
·         Fata divenuta Madre, scuola. Nuova tentazione, seconda ‘metamorfosi’ animale, in pesce, rinnovo del patto.
·         Prova suprema: descensus ad inferos. Utopia diabolica. Terza e decisiva metamorfosi, in senso proprio: in asino.
·         Circo, martirio comico. Morte per acqua, smembramento. Capretta turchina, discesa nel ventre del mostro (Pesce-Cane) per salvare il Padre. Lavoro (asinino) al bindolo, sacrificio per il Padre e per la Madre malati (in questo caso, menzogna-prova salvifica). Rinascita.

Scuola, piccoli misteri, Legge: non è sufficiente. Per rinascere occorre la catabasi, la morte, la degradazione asinina (asino, studente negligente. Caduta nella materialità, nell’idiozia, nel comico, nella schiavitù, nella Passione. La prima rappresentazione della crocifissione di Gesù è quella irrisoria del Paedagogium sul Palatino, con una testa d’asino. Gesù viene portato in trionfo a dorso d’asino, nel giorno delle Palme: il divino si incarna, si nasconde in una spessa pelle come la fanciulla mercuriale della fiaba, Pelle d’Asino, diventa una povera bestia da soma mandata avanti a forza di battiture).

Naso lungo, canino, fiuto terrestre, dominio dell’inconscio: le anime fiutano in direzione di Hades (Eraclito). Naso fallico, impertinente, affermazione di sé nella (come) menzogna. Asino: pelle dura, paziente, pelle di tamburo, raglio cosmogonico, orecchie che tutto ascoltano, schiavo che porta il basto del fato, che gira il bindolo della pazienza animale.

Annotazioni ai singoli episodi

Mastro Ciliegia, l’ebbrezza divina originaria. Mastro Geppetto, Giuseppe, il Demiurgo, padre putativo (Pinocchio era già vivo nel pezzo di legno). La sua casa ricorda la caverna platonica. Pinocchio, Pino, Giuseppino (dal nome del demiurgo-padre putativo); pinocolus, pezzo di pino, pinolo (Attis, raggio di sole, seme che scende fino al centro della Terra). Vestitino di carta fiorita – le viole del sacrificio; berretto conico da liberto (pileum album: inoltre in greco pinolo si dice konos, “cono”), residuo del guscio d’uovo da cui siamo usciti. Con la sostanza umana non si può fare una zampa del tavolino, una gamba del trono celeste: è hyle trasmutatoria. Geppetto, Giuseppe il Falegname viene a cercarla, il suo desiderio la informerà: ma il legno ha un suo spessore karmico, una sua autonomia, ancor prima di essere sgrossato conosce il soprannome che fa imbestialire il babbo, uno dei suoi primi atti di ribellione è la crescita sproporzionata del naso (come dire che l’individuazione è sotto il segno della menzogna, della curiosità, dell’indiscrezione o mancanza di discernimento-pazienza). Conosce la lingua degli animali, è un iniziando promettente e indisciplinato.
Liberatosi del padre, uccide il Grillo, messaggero della Fata e voce paterna al contempo. Fame-desiderio: come nel legno c’era il burattino vivo, così nell’uovo c’è il pulcino già nato; le origini sfuggono, non possono essere assimilate – se non attraverso un’iniziazione. Viaggio nelle tenebre, catino d’acqua che conduce alla incinerazione dei piedi: una sorta di prima fissazione del mercurio nella nigredo, che precede il ritorno del Padre. Insegnamento sapienziale sulle tre pere (polpa, scorza, torsoli). Nuovi piedi (potenze inferiori dell’anima), vestito di Pinocchio, finora nudo come Adamo: carta fiorita (Attis), berretto da liberto, scarpe di scorza d’albero. L’uscita dalla casa del padre-paradiso è l’ingresso nella scuola, nel labor iniziatico. Per acquistargli l’Abbecedario, il Libro, Geppetto si spoglia – dopo aver vestito il figlio: vi è un gesto agapico, kenotico, alla base della rivelazione profetica. Ma Pinocchio, proprio mentre fantastica e fa propositi, viene sedotto dai suoni del circo: dal richiamo del teatro di burattini, il saeculum. Per entrarvi paga simbolicamente quattro soldi (insistenza sul numero quattro: numero della totalità cosmica, della croce, al 3 dello spirito, dell’astrazione teologica, congiunge il Quarto, la Sofia, la Dama), che ottiene vendendo il Libro pagato a sua volta con la veste paterna.
Riconoscimento reciproco con i burattini: solidarietà samsarica. Il burattinaio, un arconte spaventoso ma facile da aggirare: vorrebbe bruciare Pinocchio, ricondurlo al suo statuto di legna, hyle, ma si commuove al pensiero della sua famiglia, della sua vocazione non servile ma iniziatica. Pinocchio si sostituisce ad Arlecchino, altra maschera mercuriale, intercede per lui: gesto cristico, fra schiavi. Riceve cinque zecchini d’oro: cinque, il numero della quintessenza, ma diverranno presto quattro. La barba lunga come un grembiale fa del burattinaio un iniziatore massonico, una maschera di morte dietro la quale si cela il beneficio, il dono del destino.
Incontro con il Gatto e la Volpe, i trickster perfetti. Truffa archetipica: seminare gli zecchini nel Campo dei Miracoli, presso il Paese dei Barbagianni (poi Acchiappacitrulli) per moltiplicarli. Ricetta con echi ermetici: presa di sale (poi non se ne parlerà più, e non per caso. Pinocchio è dolce di sale, gli dice il pappagallo, manca di discernimento) e acqua di fonte. Gambero Rosso, a volte rappresentato nell’Ultima Cena. Cancro, Ianua Inferi. I trickster-traditori si ingozzano, la vittima predestinata digiuna. Non si possono far fruttare i talenti seppellendoli e affidandosi al ‘pensiero magico’, all’attesa di un miracolo.
Mascherata iniziatica: gli assassini nel bosco. Il segno dello zampetto di gatto non viene ‘registrato’ da Pinocchio. Pino bruciato: prima immagine di sacrificio. Fosso saltato, casa della Bambina dai capelli turchini, morta: immagine remota, che non può aiutarlo. Zecchini nascosti sotto la lingua: consegna del segreto. Pinocchio quasi indistruttibile: il suo legno spezza le lame dei sacrificatori. La scena più cristica, quella su cui terminava la prima redazione: impiccato ad una quercia (come il mercurio che viene fissato), dopo che il pino è stato bruciato, incenerito, con la sua morte apparente fa nascere Eva-Sofia dal suo fianco, la Fata dai capelli turchini (celesti, Turchia-Anatolia, luogo dell’Aurora consurgens). L’allontanamento del Padre è la prossimità della sorella-sposa-madre, Iside. (Pinocchio è Osiride come fratello-sposo, Horus come figlio e Seth come asino). [Il Fedele d’Amore incontra la Dama nel giorno di Venerdì Santo, dies Veneris. Al puer crocifisso viene aperto il costato, come ad Adamo].
Iside Bambina, Regina degli Animali, lo porta nella sua casa magica: anticipo di resurrezione, sosta incantata, embrionale, come Psiche nel palazzo con Eros e il Principe con la Gatta Bianca.
Medicina amara, esperienza della morte, stavolta più efficace, perché più rituale (bara, conigli neri), di quando era impiccato.
Tre menzogne: si nasconde alla Fata (al proprio fato o daimon, che si manifesta come un essere femminile in molte culture religiose), e il suo naso, il suo fiuto terrestre, diviene spropositato, impedendogli di muoversi. Dopo la correzione (i picchi che gli riducono il naso: di nuovo la sua hyle viene lavorata, sgrossata), patto di fraternità tra Pinocchio e la Fata, e promessa di ricongiungimento con il Padre. Impazienza: la Fata lo lascia fare, esponendo il burattino a un’ulteriore caduta.
Non riuscito il furto violento, i trickster mettono in atto la truffa vera e propria. Esperienza dell’ingiustiza umana: la vittima finisce in galera, e solo facendosi passare per ‘malandrino’ potrà godere dell’amnistia.
Serpente che blocca il nostos di Pinocchio: simbolo di trasmutazione, occhi rossi di fuoco e coda che fuma come un camino, un athanor. Pinocchio cade capovolto nel fango: l’umiliazione, la caduta nella terra uccide il Serpente, come negli apologhi dei Padri cristiani. Il mostro mercuriale non sta più nella pelle (di qui viene l’espressione popolare ridere a crepapelle), forse erompe – sottile, invisibile, volatilizzato e sublimato – nel destino del burattino di legno.
Un tentativo di furto (azione sotto il segno di Hermes, del Cinocefalo come Thot, il suo omologo egizio) introduce Pinocchio ad una prima metamorfosi-sostituzione animale: diviene, per una notte, il cane Melampo (“oh, potessi rinascere un’altra volta”), e si fa intercessore, sconta i suoi peccati, brucia il suo karma (per buon cuore e opportunismo insieme), venendo liberato.
La Sorellina è morta: segno che Pinocchio è mutato. Non solo: un Colombo, un angelo, gli annuncia che il Padre si è messo in mare per cercarlo, e lo trasporta su di sé. Insegnamento sull’acqua e le vecce, pasto da animale (secondo alcuni la veccia è il loglio evangelico). Si tuffa per raggiungere il Padre, ma finisce nell’isola del Paese delle Api Industriose: un delfino gli rivela che la barchetta di Geppetto è stata inghiottita dal Pesce-cane. (Per le api e le anime, vedi il commento di Porfirio all’episodio omerico dell’antro delle ninfe). Luogo di ascesi, come nel periodo delle prove imposte da Venere a Psiche: la Fata ora è Madre. (Incontri: un carbonaio e un muratore. I veli e le ironie sono qui particolarmente fini…). Pinocchio confida che da gran tempo si strugge di avere una mamma come tutti gli altri ragazzi di questo mondo. La vita del burattino gli è venuta a noia.
Ritorna il tema della scuola. Scuola comunale: umiliazioni, accesso alla comunità dei compagni, rischio della ‘familiarità indiscreta’, del compagnonnage letteralizzato. Si mostra diligente: ma la nostalgia del Padre lo espone ad un’altra tentazione della curiositas.
Lite con i compagni, ferimento di uno di loro. Di nuovo i carabinieri e la ingiusta giustizia umana: stavolta Pinocchio fugge, salva da morte il cane che lo insegue, Alidoro: questi si sdebiterà salvandolo dalla padella del Pescatore Verde. [A proposito di carabinieri, è la loro prima comparsa in un’opera letteraria in prosa. Già il plebeo sottile del Belli gioca chiamando cherubbiggneri i cherubini, i due guardiani dell’Arca. Il cherubino con la spada infuocata custodisce la soglia del Giardino perduto, è un buffo e tragico mediatore kafkiano, che sa e non sa].
Nuova prova del fuoco (essere fritti, finire in padella): prima Mangiafuoco, nero, ora un uomo del mare, verde ovvero selvatico, che vorrebbe nutrirsi di lui (pretende ad ogni costo, come uno sciocco o un barbaro, un ciclope, che sia un pesce: ad ogni modo si tratta di un mostro, un cannibale. Che il burattino possa essere cucinato è già un accenno alla sua futura umanizzazione. Stavolta, comunque, si metamorfosa in pesce).
Di nuovo nudo, esposto alla morte.
Veste di umiliazione: un sacchetto per il cibo (lupini).
Casa a quattro piani della Fata: prove purificatrici – il battente che diviene un’anguilla, il piede incastrato, la lumaca lunare (pazienza nella crescita, nell’opus spiraliforme), il cibo finto (non è ancora pronto per il nutrimento autentico). Rinnovamento del patto e della promessa con la Fata-Madre.
Tentazione suprema alla vigilia della ‘promozione’ (a ragazzo). Lucignolo – un piccolo illuminato, un alumbrado, un Lucifero-patiens, un Lucio infelice, votato al fallimeno – lo persuade a seguirlo nel viaggio alla volta del Paese dei Balocchi: sogno di licenza edenica, senza limiti, senza prove, un paradiso in terra cui introduce il satanico Omino di Burro, untuoso, seduttivo, morbidamente crudele. [Tema archetipico: realizzare i propri desideri prima della liberazione rende doppiamente servi, doppiamente ciechi. Solo il liberato brucia i desideri nel fuoco di jñana, nel fuoco dell’istante e dell’attenzione].
Pinocchio e Lucignolo si trasformano in asini, come Lucio: l’esserino tutto naso e niente orecchie diventa un quadrupede dalle orecchie smisurate, che imparerà l’obbedienza a frustate, come uno schiavo. Lavorerà in un circo, non da burattino ma da asino acrobata (come Lucio): la visione della Fata tra il pubblico lo trafigge di nostalgia e lo azzoppa, consegnandolo alla morte per acqua. Il nuovo padrone – tema archetipico – vuole farne un tamburo: ma come il pezzo di legno non era fatto per servire da gamba per un tavolo, così il burattino-asino non è fatto per servire da strumento musicale.
I pesci inviati dalla Fata mangiano la scorza asinina e liberano il burattino. Fuga nel mare, a nuoto. Visione decisiva, liberatoria, della Capretta Turchina sullo scoglio. (Mamma Capra e il ventre del Lupo. Zolla fa notare che la capra in India è il simbolo della Prakriti, la Natura: si chiama aja, che vuol dire anche “non nata”). La visione della Madre lo riconduce al Padre: viene inghiottito dallo stesso Pesce-cane  in cui era finita la barca di Geppetto. Salva se stesso e il Padre, come Enea: resurrezione comune. Inizia la conversione di Pinocchio: spettacolo della punizione dei trickster (e poi di Lucignolo) – la capanna in cui vive è di nuovo abitata/posseduta dal Grillo, che l’ha ricevuta in dono dalla Capretta. Duro e paziente lavoro ‘asinino’, askesis, per assistere il padre malato e infine dono dei quaranta soldi di rame per la madre supposta malata: doveva comprarci un vestito. Spoliazione suprema, rinuncia alla gloria, alla ricompensa (quaranta numero dell’attesa, della prova, della quarantena-quaresima, del deserto). Ottiene così la ricompensa più alta, la visione onirica della Fata (che da allora resterà una figura del mondo immaginale). Trasmutazione del rame (metallo di Venere) in oro (metallo del Sole). La capanna è una casa elegante. Il vecchio falegname spiantato è un artigiano maturo, che intaglia cornici (opera paterna, finalmente svelata). Ultima contemplazione di sé allo specchio (la prima con gli abiti nuovi, poi quando gli crescono le orecchie d’asino): si scopre fanciullo, liberato. Ora inizia la sua vera vita, la sua crescita spirituale (il burattino è rigido, immutabile: la sua mutevolezza mercuriale era tutta determinata da fili invisibili, le passioni capricciose). Il vecchio burattino disarticolato viene mantenuto in casa: ora può essere guardato con un sorriso, ora si può comprendere quanto fosse buffo, privo di libertà, di grazia.
Anche dopo la trasmutazione, il suo nome resta Pinocchio, pinolo, pezzo di pino, Giuseppino.

Nessun commento:

Posta un commento