Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



sabato 9 novembre 2013

Apocalisse e adulterio




Uno dei tratti apocalittici (arco pontificale sospeso al di sopra e al di sotto del tragico, tra l’occlusione infernale e il lampo che dischiude il Regno) delle città sante come Roma e Gerusalemme è l’immane accumulo di passato, la giustapposizione e l’intrico onirico e polveroso di strati del tempo, che imprigiona, opprime, comprime, ottunde fino al comico puro l’anima incarnata – a meno che il buio della memoria dannata non sia penetrato dalla sbrodolatura di uno sperma visionario, da un ruggito di luce tra le dune o gli sterpi della sterilità interminata. Così pure, congiunto al primo, il ritardo, la dilazione (forse oltre ad Amor, il nome esoterico di Roma è Mora, delay), manifesta nell’imputridimento degli struldbrug alle fermate degli autobus, nei borborigmi rabbiosi del metallo animato ai semafori – a meno che la visione non l’accenda in attesa, attesa di Pietro II, dello spianarsi dei Colli, del fiorire dei sobborghi, del Rex tremendae majestatis.

L’adultera deturpa, distrugge l’onore del suo sposo (onore che lei stessa, che il suo stesso corpo è): ma questo sfregio, questa ferita, apre lo spazio e il tempo della teshuva, della reciproca conversione, il rinnovamento del patto spezzato, della Tavole della Legge spezzate – stavolta senza garanzia esterna, in nitido e mortale orientamento all’amore divino.
L’adulterio mitico è metafora della genialità (soprattutto le molte avventure di Zeus Padre), o comunque della rottura dei vincoli, del consueto. Gli arcana naturae sono comici quando si manifestano nella loro ambivalenza originaria. Il lutto stretto di Demetra si scioglie quando Baubo le mostra la matrice, l’origine du monde; gli olimpici ridono quando vedono Ares, l’irruente, immobilizzato (già lo era stato in parte da Afrodite, vedi quadro di Botticelli) e l’irretitrice Afrodite irretita dalla finissima rete di rame del suo sposo legittimo (Efesto è il sale, arguto e sacerdotale, in cui si cristallizzano, congiunti, lo zolfo maschile e il femminile mercurio).
Ambivalenza archetipica dell’adulterio: kerata poiein, “fare le corna”; il tradito è becco, deve conquistare la propria donna nella lotta primaverile (keras, corno, è legato a krios, l’Ariete, il Cornuto, marziale, inaugurale, sacrificale. L’Era dell’Ariete è l’eone del maschio cornuto, Mosè e Alessandro). Il corno si rinnova, è corpo sottile: la porta di corno è quella dei sogni veridici. A Roma si dice: le corna so’ come li denti, fanno male a spuntà, ma poi ce se magna. La metafora della crescita dolorosa dei denti è usata da Platone per lo spuntare delle ali erotiche dell’anima. Con la suggestione dell’adulterio l’eros vola nel mondo delle immagini: la gelosia è testimone del pericolo mortale che l’amore attraversa sulla terra, perché possiamo amare solo ciò che rischiamo di perdere – o che abbiamo di fatto perduto.
Chi nasce da un adulterio è figlio della Tyche come Edipo, uno sradicato, leggero e quindi maledetto (qalal, maledire, in ebraico vuol dire “rendere leggero”), ma anche agile e baciato dalla fortuna come un picaro, un vero figlio di puttana.

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