Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



domenica 17 novembre 2013

Archetipi tra anima e spirito in Zolla e Hillman [Annotazioni]


L’anima è intermediaria, mediatrice – è prospettiva: da un lato rivolta verso l’alto (ano), al nous, alla luce dell’intelletto, dello spirito; dall’altro rivolta verso il basso (kato), alle tenebre, all’opacità di hyle, della materia: è il colore (che nasce nella tensione polare fra luce e tenebra), l’immagine.

Zolla e Hillman sono i Dioscuri del Secondo Novecento, tempo di esilio: i due volti di Hermes, amicus cuiusque segregati (amico di chiunque si sia separato dal grex, dalla mimesi sociale), i due crepuscoli, orientale e occidentale.

[L’anima]
In Zolla l’anima è uno specchio prensile, volto verso la luce del nous, è il cristallo del versetto coranico che si lascia attraversare dallo splendore dell’intelletto divino;
in Hillman l’anima è caduta (non ha subìto o agìto la caduta, è coinvolta in essa), ombra e umidità, initiator initiandus.
Tale opposizione speculare si manifesta nei rispettivi stili di scrittura-pensiero. Stile-retorica di H.: invischia, impania, illumina e fa fermentare come un vino in una botte, è uno stile misterico-iniziatico, drammatico (nel senso di drama, evento, fa accadere gli eventi). Arietino, marziale, dotato in sommo grado di vis polemica, che apre la terra (pseudoetimologia di aprilis, il suo mese natale), la via, e incita al contempo a non conformarsi alle proprie posizioni dialettiche (così anche Nietzsche).
Stile di Zolla: Luna, lucore delicato e distante, dolce e radicale, malinconia misericordiosa, l’epifania di Iside in Apuleio; cristallino e tagliente, a volte morbido, fluido, poco strutturato.

[Archetipi]
Da Platone a Jung e oltre, nell’idea e nel termine di archetipo si congiungono visione e patimento: l’archetipo è l’impronta originale da cui derivano le copie individuali, ma proprio in quanto impronta, typos, è qualcosa che è stato impresso con un colpo (greco typtein, da cui tympanon, tamburo e timpano auricolare, e typas, martello). Capitolo fondamentale di Zolla: “La percezione emotiva degli archetipi”.
In Archetipi equilibrio fra i “due” periodi fondamentali di Zolla: un equilibrio carezzevole come quello di un platonico di Persia, di un miniaturista, prima di volgersi verso il buddhismo tibetano, sciamanico-tantrico.
Zolla “zingaro” (C. Campo): francofortese radicale e libero in Eclissi dell’intellettuale, moralista adamantino e ascetico in Volgarità e dolore, antropologo e psicologo-critico culturale nei Letterati e lo sciamano, guenoniano intelligente e già presago di altri lidi in Che cos’è la tradizione, grande erudito secentesco (ma anche scienziato-poeta goethiano, cultore della Naturphilosophie romantica) nelle Meraviglie della natura. Esodo dall’Europa dei conflitti ideologici verso l’America individualista, folle, già acquariana. Archetipi scritto a 55 anni (1981), età della maturità, di Giove.
Riscopre la metafisica, la philosophia perennis, poi si volge allo sciamanesimo e al buddhismo tantrico, tibetano, al Giappone e alla sua aisthesis, alla Cina taoista.

Hillman scrive Il sogno e il mondo infero a 53 anni, nel ‘79. Nell’80, voce “Psicologia archetipica” dell’Enciclopedia del Novecento Treccani. Per lui, l’esodo è dall’America fondamentalista e sradicata verso l’Europa – un Europa continentale che sogna il Meridione, come nel Secondo Ottocento, e la Grecia, come in tutto l’Ottocento.
Dai mysteria junghiani, per lui una metafisica della psicologia o metapsicologia, emigra verso una psicologia radicale dell’immagine, della manifestazione, della necessità, del tragico, dell’arte, della comunità.

[L’Uno e i Molti, lo Spirito e l’Anima]
Zolla inizia il suo aureo libretto con l’Uno (“L’esperienza metafisica”) e termina con la Visione della Rosa. Amante ermetico, vagabondo di Sofia, insieme bhaktico e vedantico: segue Ramakrsna, il devoto della Devi che, su consiglio di un advaitin, ha tagliato in due con la spada del discernimento l’immagine della dea foggiata nella mente. Sorriso di sfinge, unione di misericordia e libertà metafisica, vuoto (shunyata): l’immagine viene coagulata e dissolta a volontà, con una percezione delicata dell’opportunità, del kairos metafisico (che il credente ingenuo scambia per opportunismo). Zolla senex torna al Daodejjing che lo aveva eletto puer, a sette anni. Il saggio-santo taoista non è tradizionalista, è anarchico, pragmatico, umile idiota di villaggio e incurante sovrano nascosto, senza vincoli di fede.
Storia del fantasticare: libro ascetico, inquisitorio, che corrode con acidi intellettuali sia la fantasticheria che la rêverie (celebrata invece da Bachelard e, più sinuosamente, da Hillman). Anche la psicoanalisi è ridotta, ricondotta all’ascesi patristica (antologia La psicoanalisi del 1960).
H. ha un approccio più affine allo zen, alla vipassana, al distacco partecipe (ironia) dell’artista romantico.

H. invita ad essere artisti della vita, daimonici. Per lui lo spessore storico – opera e setting dell’anima – conta più che per Z. – ma anche H. è ermetico, perché l’artista del soul-making è strabico, duplice, vede in trasparenza, recitando interpreta, riflette.
In H. non c’è un oltre sostanziale che unifichi la poiesis, la cosmogonia, la scena tragicomica di anima (la “base poetica dell’anima” è un terreno vivente, ed è un Un-grund, vedi frammento di Eraclito sull’anima che non ha confini): l’Uno è esperito come ciasc-uno, come epifania-di-sé, non può essere oggetto o contenuto di un’esperienza separata, privilegiata.

Centrale in entrambi il tema del destino: l’astro, astrum in homine, l’imagine del cuor. Zolla, dal punto di vista dello spirito, sottolinea l’ascesi come disciplina negativa, mentre Hillman, dal punto di vista dell’anima, sostiene che la disciplina è già implicita nei pathe, già inerente alle sofferenze di anima.

Ripresa di motivi della critica di Nietzsche. Zolla: potere, truffa del profeta, del sovrano (Blake: I must create a system or be enslaved by another man’s). Hillman: la Grecia psichica, il destino, l’eterno ritorno, il superamento del dualismo verità-apparenza, la giustificazione estetica dell’esistenza.

Cuore pulsante del libro di Zolla: Politica archetipale e Poesia archetipale. Il primo saggio dissolve duemilaseicento anni di storia occidentale, da Romolo e Remo a Yalta, in un bagno mercuriale freddissimo da cui riemergono pochi tarocchi, poche carte da gioco continuamente rimischiate. Gli archetipi che stampano il loro riflesso sul prensile specchio di anima si proiettano poi, di anamorfosi in anamorfosi, sulla scena delirante, più-che-onirica, della Storia, dove diventano cartoni ossessivi, parodie micidiali. Zolla osserva lo spettacolo con divertito sgomento, e ci consegna una sfera di cristallo mite e crudele con cui possiamo disincantarci. In Poesia archetipale mi sembra contenuto, in a nutshell, il lascito metodologico e filosofico quintessenziale del libretto: la poesia, la narrazione sciamanica primordiale, si serve del linguaggio quotidiano, comunicativo, binario, con la stessa spregiudicata misericordia che il tantrika riserva alle immagini: lo svuota dall’interno facendone una cassa armonica per dhvani, per la risonanza, per l’aura della parola, per il suo incanto essenziale e non-binario, non-duale.

[Approccio profetico-metafisico e pagano-politeistico]
Paganesimo: si vive alla luce dei molti dèi, delle intuizioni divine, mentre l’iniziazione (all’Uno) è esoterica, velata. Invece sia le religioni profetiche che la metafisica rendono essoterico l’Uno, con il rischio di letteralizzarlo: ma l’intento è costruire un recinto, un contenitore al libero gioco dell’interpretazione, dell’anima.
H. ermeneuta e fenomenologo appassionato. Z. rimane, di distillazione in distillazione, un metafisico, un sophos.
H. pagano ed ebreo: l’accostamento all’Uno, allo spirito – il mysterion – resta esoterico, velato, eventualmente negato.

Sul piano ermeneutico (psichico), spirito e anima sono due prospettive (immaginabili come parallele, o come i due serpenti che si intrecciano sul caduceo, o come due facce di una sola realtà, o in ordine gerarchico etc.). – L’anima sticks to the images (Lopez-Pedraza): lo spirito emigra dalle immagini e se ne riappropria, è intimo e distante, distaccato, è nunc stans e lampeggiamento discontinuo, sposo-signore dell’anima, creazione e distruzione.

Zolla ha ragione – gli archetipi sono messaggeri dell’Uno, e nella loro unità, nel loro insieme, sono, costituiscono l’Uno manifesto; ma l’approccio ermeneutico (psicologico) di Hillman è più discreto: l’uomo radicalmente caduto non può accostarsi all’Uno se non restando radicalmente, alchemicamente fedele alla sua caduta. Inoltre la molteplicità degli dei – dell’anima – non è riducibile all’Uno: l’Uno irraggiungibile si manifesta come molteplicità, e oltre la manifestazione “non c’è nulla” (prospettivismo, relativismo, catottrica di Corbin, degli iranici etc.).
Lo spirito in H. è l’eros a cui l’anima ritorna attraverso i suoi pathe, in un moto serpentino di caduceo, spiraliforme. Lo spirito non letteralizzato, non isolato e fissato come dogma o testo, sempre di nuovo dissolto nell’umidità mercuriale di anima, è il dinamismo stesso del fare-anima, il suo telos tutto intimo al pathos, al drama, e che pure sempre lo eccede. Psicologia poetica di H. come riflesso speculare o stampo o rovescio notturno dell’esperienza spirituale.

[Dimensione profetica di entrambi]
Sia Z. nel suo orientamento, nel suo finale esodo dall’Occidente, sia H. che, più psicologicamente, esorta a restarvi, com’è pur necessario, vigilando però sulla frontiera tra i mondi, in anima – sono due traghettatori dell’esilio occidentale, dissolvono radici abbarbicate, incancrenite, per additare il luogo in cui la coagulazione – la creazione di un nuovo mondo, che è la nuova creazione del mondo – sia di nuovo possibile.

In Z. non viene mai meno la spinta gnostica a moksha, a soteria, a rompere il tetto della casa o prigione, al chorismos, a uscire dal mondo: è il viandante di C. Flammarion [vedi immagine alla fine]. Esercizi di respirazione embrionale sul letto di morte. (Ritorno al Tao).
Ultima intervista di H.: sembra un adagio mahleriano, una meditazione di Rilke. Il pathos individuale entrato nel mito, nel logos comune di psiche, nella poiesis del mondo, dell’anima mundi, non è “guarito” o “redento”, non c’è un telos esterno – il telos è-e-non-è l’opus stesso, la poiesis, l’ermeneutica dionisiaco-ermetica di anima è infinita come in Heidegger.

[Conclusione]

Nell’incendio di Troia a Enea fuggiasco adparent numina magna deum. L’uomo della pietas, delle radici, destinato a uno sradicamento oltre il quale potrà traghettarle in Esperia (terra del Tramonto, Occidente), deve sperimentare la loro morte nella loro stessa epistrofè, deve acquisire lo sguardo doppio del mite sapiente zolliano e dell’ermetico artista/attore (hypokritès) hillmaniano.

* * *

L’approccio di Zolla alle immagini mi sembra esemplificato a meraviglia dall’aneddoto su Sen no Rikyu, il monaco giapponese che portò a compimento l’introduzione della cerimonia del tè. Un novizio gli recò in dono dei fiori, che fortuitamente finirono decapitati: i petali caddero sul tatami ai piedi del tokonoma, gli steli restarono in mano al monacello mortificato. Allora il maestro lasciò i petali sul tatami e pose gli steli in un vaso nella nicchia del tokonoma. Poi spiegò: “Quando sei entrato, i fiori erano fiori: la forma è forma. Quando i fiori si sono spezzati, non c’erano più: la forma è vuoto. Secondo la mentalità ordinaria, sarebbero potuti restare così: il vuoto è vuoto. Ma ora abbelliscono il tokonoma e la sala: il vuoto è forma”.
Sull’approccio a spirito-e-anima, credo sia esemplare l’opera di un poeta che entrambi amavano, Yeats, Sailing to Byzantium. Questa poesia celebra la fame, il bisogno senex di spirito, di un’uscita dal mondo: ma la preghiera rivolta ai saggi vigili e ritti nel sacro fuoco di Dio, la supplica di essere ammesso all’“artificio dell’eternità” (sia Zolla che Hillman commenterebbero all’infinito la magnifica espressione), è preceduta da un mirabile ritratto del corpo senile ridotto ad una giacca sbrindellata appesa ad un bastone. Come insegna Hillman nell’ultima sublime intervista, coagulazione e dissoluzione nella morte si accompagnano, sono inscindibili: così la prospettiva morbosa, la patologizzazione di anima, e l’eros spirituale che desidera cantare in un’altra aria, sul dorso del cielo.

Nel film di Weick, Zolla dice, da eccelso sincretista, che Ibn Arabi, Pico e Abhinavagupta insegnano la stessa cosa, e sanno che le tradizioni spirituali insegnano la stessa cosa, l’unum necessarium. Dal punto di vista psicologico (di anima, di Hillman), tutti loro stanno dicendo e facendo cose enormemente diverse. Eppure le dicono e le fanno proprio perché hanno acquisito la doppiezza, lo sguardo strabico dell’attore dionisiaco-ermetico, del pellegrino incantato: Ibn Arabi era, in giurisprudenza, un tradizionalista severo, Pico ammirava Savonarola, Abhinavagupta era uno shivaita devoto. Molteplicità e unità scorrono l’una nell’altra, con semplicità di colomba e astuzia di serpente (ovvero: sull’asse centrale del caduceo, sibilando e strisciando come i due serpenti, come la diade).

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