Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



martedì 12 novembre 2013

Il Denario e il Calvario




Il denaro è il vero attore, anonimo e impersonale, dell’Era dei Pesci: sangue del Povero, di Cristo, secondo la parola di Bloy, potenzialità effervescente e maledetta del desiderio, non più eros personalmente attaccato al volto e al corpo delle cose, ma dominio vampiresco delle astrazioni mimetiche, delle parole d’ordine e delle suggestioni collettive. Gesù sapeva che tutto si sarebbe giocato intorno al piccolo sole tascabile della moneta: i suoi detti canonici ed apocrifi abbondano di metafore monetarie, soprattutto finanziare – il cambio, commercio del denaro, è il trionfo della magia mondana, perché finge di mercificare ciò che in tal modo si pone sempre più imperiosamente come misura del valore, sottratto alla deperibilità del grano e della carne, nonché alla sua stessa materialità metallica.
Quando i dottori ebrei interrogano Gesù sul pagamento dell’imposta di capitazione romana, gli gettano una rete da cui non si può uscire, se non trasfigurati e risorti: chi non paga il census capitis perde il caput, la testa; chi lo paga con-tribuisce al nutrimento e alla crescita della Bestia coronata, è dunque un traditore del popolo sacerdotale. Lo strano maestro galileo, con sublime ironia, si fa consegnare dagli interroganti il denarius romano. L’aria ronza di echi simbolici, di cupi presagi: imposta di capitazione in aramaico è gulgalta, “testa”, “teschio” – probabilmente lo stesso nome dell’altura alle porte di Gerusalemme dove venivano eseguite le condanne a morte, il Golgota della tradizione cristiana. Gesù dissolve il feticcio della moneta e il rigido dilemma binario insinuato dalla domanda, chiedendo a sua volta (gli ebrei rispondono sempre con una domanda!) di chi siano l’immagine e l’iscrizione sul denarius. Il denaro (significativo che il termine italiano derivi dalla moneta usata appunto per il testatico romano) non è un fatto di natura, è un atto, e un atto squisitamente magico: proiettando l’immagine di una testa regale (il princeps romano si faceva effigiare incoronato d’alloro e con la qualifica di pontifex maximus) e di alcuni simboli politico-religiosi su un disco di metallo nobile, ed entrando nelle borse dei privati, costituisce la circolazione sanguigna di un imperium, di un complesso di potere che mira alla flessibile solidità di un organismo vivente. La parola immagine, eikon, è anche la traduzione del biblico tzelem, l’ombra, il riflesso, l’immagine divina che è il paradigma della creazione di Adamo; ma soprattutto la parola iscrizione, epigraphè, oltre ad alludere in qualche modo alla Scrittura, ritorna poco oltre nel testo evangelico (versioni di Marco e Luca) – è il cartello d’infamia che il procuratore Ponzio Pilato fa affiggere sulla croce del galileo, piantata sul colle del Cranio di Adamo, Golgota o Gulgalta (oppure colle delle pene capitali), cartello il cui acrostico quadrilittero farà fremere gli ebrei presenti, suggerendo loro forse il santo Tetragramma. Si apriva il nuovo eone, sotto le insegne del denaro, del sangue effuso, del gioco finanziario come metafora pericolosa del pari della fede, che nella sua forma mondana più alta avrebbe, nel corso dei secoli, vampirizzato e cannibalizzato gli aspetti militari dell’imperium, retaggio dell’Età dell’Ariete.

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