Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



domenica 3 novembre 2013

Sulla mediocrità sadiana





L’aspetto peggiore degli eccessi è che ci rendono insensibili. Gli strazi di Damiens e di Calas (interminabile squartamento con cavalli e sciabole, membra spezzate da una ruota di carro) ci hanno aguzzato il senso interno, la fantasia, alle sofferenze dei condannati dell’Ancien Régime, ma ci hanno anestetizzato ai patimenti dei detenuti e, cosa di maggior momento (perché è la causa del primo male), al significato della detenzione. Così, più filosoficamente, il trattatello di De Sade (Français, encore un effort si vous voulez être républicains) ci tramortisce in modo così caricaturale da spingerci a dire: teniamoci la democrazia parlamentare, teniamoci questa falsa quiete in cui aleggiano spettri che sarà pur possibile disinfettare. A parte il fatto che una repubblica sadiana diventerebbe una fogna di mediocrità (lo scatenamento delle energie ribelli, antinomiche, è fecondo quando viene percepito e concepito come un momento eccezionale, anormale: se è sistematico è obbligato a farsi norma), la reazione che suscita in noi è il trionfo dell’oligarchia: ci induce a dimenticare che è bene uccidere i malvagi (ieri gli aristocratici molli e arroganti, oggi i ben più velenosi pirati della speculazione finanziaria, gli Omini di Burro dell’advertising); che è bene per la morale e l’estetica che gli istinti erotici patologici non siano né repressi e compressi, né vellicati e rimescolati nella penombra di un’inconsciente nequizia, ma gettati nel fuoco fino a che non raggiungano il calor bianco; che è giusto e sano sguinzagliare i segugi dell’immaginazione infera se si conosce il recinto in cui devono rientrare, al primo tocco di rosa dell’aurora, quando il corpo dormiente ritorna alla veglia nutrito dal sangue dei morti e dalla rugiada degli angeli.

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