domenica 3 luglio 2011
In cruce
Nel calice dell’ira c’è il dolore essenziale del corpo e lo spirito di vertigine dell’anima, ubriaca di inquietudine. Lo spirito/Spirito, vuoto com’è, è lo spazio vivente, lo spazio di ferita in cui la duplice sofferenza si svela unica, abisso di domanda volto alla pienezza che è superamento del bisogno di risposta. Il dolore del corpo è un’ancora, l’ubriachezza dell’anima un mal di mare, un naufragio. Sulla fissità della croce Gesù sperimenta un dolore cui è sottratto il corpo quando grida al Padre: il Padre che non si sente né conosce più è il corpo sommerso dalla marea del dolore “mentale”; ma non è dolore disincarnato, anzi, poiché il grido è di tutta la carne, è quello l’istante dell’Incarnazione, l’urlo natale che il balbettio dello Spirito maieuticamente fa uscire nella carne. La parola s’incarna quando la vertigine dell’anima disancorata sente il corpo solo come assenza, assenza di corpo, morte, e quindi si realizza lo spirito carnale, lo spirito totale, la convergenza improvvisa di domanda e risposta, l’improvvisa pace dolorosa tra il corpo (corpus) della rivelazione e l’anima vagabonda.
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