Il
nome segreto di Roma è il suo nome malakūtī,
il suo esoterico. Roma
essotericamente è bianca, gialla e rossa, luni-solare (olimpica) e marziale,
con salde radici ctonie: ma esotericamente è verde, è Flora. Flora è il nome e
quindi lo status che la ninfa
Chloris, la Verde, assume dopo che è stata panicamente stuprata da Zefiro, il
vento che spira da Occidente dopo l’equinozio di primavera. La viriditas alchemica dello zolfo immaturo
cede il proprio sangue allo zolfo rosso, all’elisir che maturerà nel lapis, nell’Oro filosofico: Roma unifica
i popoli secondo l’archetipo marziale sotto l’Ariete, ma per gettare la sua
esca venerea nell’Era dei Pesci, per rigenerarsi come nutrimento immaginale.
Come l’ebraismo proietta due figli nel carnevale dei Pesci, così Roma genera
altre due Rome, quella bizantina sui cui convergeranno gli esoterici sogni
ghibellini (e che poi darà un centro illusorio all’unico grande esperimento di imperium islamico) e quella russa che
magnetizzerà il sofianismo slavista e l’utopia bolscevica, col suo paradossale
universalismo particolaristico (imperiale). Probabilmente nella Matelda
dantesca occorre vedere in trasparenza Flora, il malakūt di Roma.
Flora
fa fiorire l’immaginazione spirituale e politica dei Pesci, la visio smaragdina dell’Occidente: la sua
incarnazione originaria nel Lazio resta come il Padre nella Trinità, la
Scrittura nella comunità interpretante, l’ebraismo nell’uni-triade abramica.
Borgo oscuro nel Medio Evo, gran teatro esoterico nel Rinascimento e nel
Barocco, la sua autorità, puntellata sulla più scoperta delle truffe
documentali, non è mai venuta meno, e il privilegio petrino ha saputo
romanamente nutrirsi delle contestazioni bizantine e germaniche. Amor è questo prestigio venereo, così
simile alla Cupido androgina manipolata
dal mago bruniano, il quale sa rimanere intimamente libero dalla visione che
allestisce e scatena, come Roma ha saputo restare aggrovigliata e caotica
mentre piantava il vessillo dell’ordine e tracciava il solco dello ius e dell’armonia nelle terre
soggiogate. Innesto dell’Oriente in Occidente (un resto apocalittico di Troade
guidato dalla protezione sottile di Venere, contro l’iniziatico astio di Giunone,
sulle sponde dell’Esperia), unificatrice essoterica nell’era arietina mentre
Israele vi figurava come unificatore esoterico (l’ebrea gnostica Simone Weil vide
bene l’alleanza segreta tra i due popoli sradicati-sradicatori al di sotto e al
di sopra dell’ostilità recitata), Roma sta di fronte all’Ecumene di Alessandro
come alternativa permanente: i due paradigmi si affronteranno, come Occidente e
Oriente, fin nel cuore dell’era dei Pesci – la cristianità coinciderà con i
confini dell’impero romano (Roma dell’Ariete coinciderà, rinnovata, rifiorita,
con la Roma dei Pesci), l’impero islamico con i confini di quello di Alessandro
il Bicorne, l’Uomo dei Due Mondi, l’infelice iniziato alla regalità iranica, ai
misteri della gloria scesa in terra o xvarneh.
Il Bosforo, il Guado di Io tormentata da Era, resterà sempre la soglia tra le
due grandi opere dell’immaginazione mitica e politica arietina: il Toro
sacerdotale, pungolato dal nuovo ordine (Era custodisce il patriarcato con le
sue gelosie di matrona), abbandona l’Occidente e si rifugia in Egitto, da dove
ritornerà sempre per incantare, sedurre, ossessionare, promettere un fondamento
alchemico (carnale-spirituale) al sogno teocratico, magari appunto per
dissolverlo nelle nere acque dell’esoterismo puro, l’occultamento dei sapienti
sotto il “negro manto” delle spie di Dio.
Per coincidenza, in quegli stessi giorni, stavo "spiegando" (sono insegnante di Storia al biennio) la leggenda di fondazione di Roma...
RispondiEliminagrazie per i vertiginosi suggerimenti a immergersi nell'abisso verdeggiante del passato remoto.
Grazie a te.
EliminaE grazie al dott. Federico Gizzi (avrei dovuto menzionarlo in una dedica, ma meglio tardi che mai), studioso di storia dell'arte ed esperto di cose romane, che mi ha suggerito il nesso tra il nome 'Flora' e le metamorfosi della visione-Roma nel corso dei secoli.