Il
mondo come phainomenon,
manifestazione, postula il riflesso, il rimbalzo dello specchio, la
non-immediatezza. Sul piano della coscienza discriminante o vijñana si dà opposizione polare tra
soggetto e oggetto, non-simultaneità nel tempo (ogni conoscenza è costruzione
di memorie: il mondo nel suo insieme è in ritardo
rispetto al Principio), distanza e dispiegamento del molteplice nello spazio.
Il
centro della sfera della manifestazione è il pensiero “io”: la riflessione di
Zagreo nello specchio è la volontà come identificazione e pathos, la “localizzazione” primaria – il luogo è la volontà, l’orientamento
dell’attenzione.
Se
il tempo è immagine in movimento (in successione) dell’aion, del malakūt,
dell’anima, della IV dimensione, lo spazio è l’immagine delle relazioni, delle scheseis, degli stati della
volontà-attenzione. Per questo è opportuno recuperare una perspectiva centrata sull’anima, una catottrica interiore,
immaginale, esoterica.
Forse
il tatto di Berkeley, fondamento del
segno visuale, è quello dei misteri eleusini, origine del toccare-vedere
aristotelico. È il pathos (da cui
irradia il mathos) della
distinzione-contiguità aurorale tra soggetto e oggetto, tra io e mondo come
rispecchiamento reciproco.
La
vista è come la veglia e il fuoco: ultimo grado della manifestazione e prima
soglia simbolica dell’epistrofè.
L’individualità
caduta (io-sono-nel-mondo), la scissione oscillante-angosciata-assetata tra
soggetto e oggetto, è il ritardo, il ta’akkhur,
il tempo-spazio intermedio tra Dio e Dio, tra Archè e Telos, è il momento tra
lo stupore del rispecchiamento e l’assenso del riconoscimento.
Il
tempo nasce dall’indecisione originaria, singhiozzo che innesca il ritmo. Lo
spazio è smembramento dell’Uomo Cosmico, quindi è dissipazione
(dell’attenzione), perispasmòs, nell’Uomo Cosmico.
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