Rabbi Nachman raccontò:
C’era una volta un poveruomo che si
guadagnava da vivere estraendo l’argilla e vendendola. Un giorno, mentre
scavava, scoprì una pietra preziosa, che ovviamente valeva parecchio. Poiché
non aveva la più pallida idea del suo valore, la portò da un esperto affinché
la stimasse. L’esperto rispose: “Nessuno qui potrà permettersi una pietra del
genere. Va’ nella capitale, lì riuscirai a venderla”. L’uomo era così povero
che non poteva nemmeno permettersi il viaggio. Vendette tutto quel che aveva e
andò di casa in casa a raccogliere fondi per la traversata. Alla fine ne racimolò
abbastanza per arrivare fino al mare.
Poi andò a imbarcarsi su una nave, ma
non aveva più un soldo. Si recò dal capitano e gli mostrò il gioiello. Il
capitano lo accolse immediatamente sulla sua nave con tutti gli onori,
credendolo una persona degna di fiducia. Assegnò al poveraccio una cabina
speciale di prima classe e lo trattò come un gran signore. La cabina del
poveruomo aveva una vista sul mare: lui si sedeva lì, contemplando
continuamente il gioiello e traendone gioia. Gli piaceva farlo soprattutto
durante i pasti, perché mangiare di buon umore fa molto bene alla digestione. Poi
un giorno si sedette per pranzare, col diamante davanti a sé sul tavolo dove
poteva goderne la vista. Mentre era lì, si appisolò. Nel frattempo arrivò
l’addetto alla mensa e sparecchiò, scuotendo la tovaglia nel mare e facendovi cadere
le briciole insieme col diamante. Quando l’uomo si svegliò e si rese conto di
cosa era successo, per poco non impazzì dal dolore. Tra l’altro il capitano era
un uomo spietato, che non avrebbe esitato a ucciderlo per il costo del viaggio.
Non avendo altra scelta, continuò a comportarsi da persona felice, come se
niente fosse stato. Il capitano era solito parlare con lui qualche ora ogni
giorno: quel giorno l’uomo si mise di buon umore, così che il capitano non si
accorse che qualcosa non andava. Anzi gli confidò: “Voglio comprare una grande
quantità di grano, che potrò rivendere nella capitale ricavandone un immenso profitto.
Temo però di essere accusato di rubare dal tesoro del re. Perciò farò in modo
che il grano venga acquistato a tuo nome: ti pagherò bene per il tuo disturbo”.
Il poveruomo acconsentì. Ma non appena arrivarono al porto della capitale, il
capitano morì. L’intero carico di grano era a nome del poveretto, e valeva
molto di più del diamante.
Rabbi Nachman concluse: “Il diamante non
apparteneva al poveruomo, e la prova è che non lo mantenne. Il grano invece gli
apparteneva, e la prova è che lo mantenne. Ma egli ottenne quel che gli
spettava solo perché restò felice”.
L’uomo, adam, tratto da adamah,
la terra fertile, che muta continuamente la morte in vita, riparando la ferita
perpetua della maledizione originaria, l’entropia della Caduta – vive scavando
e vendendo la propria argilla, partecipando al circolo sacrificale della
materia vivente-morente. Un giorno trova un gioiello dal valore incomparabile:
scopre il luz, la pietra preziosa a
fondamento della colonna vertebrale, seme della resurrezione, e ne fa
l’esperienza terrestre come gioia e consolazione, a cui tutto il resto viene
subordinato. La grazia divina, l’estasi spirituale trovata per puro dono divino
negli strati dell’argilla umana, induce spontaneamente alla rinuncia: il
maestro avvisa che la perla, il diamante può essere venduto solo nella Capitale,
oltre il mare – nel Regno che è al di là del viaggio mortale e della morte.
Così il poveruomo fa il voto del pellegrinaggio celeste, e raccoglie quel tanto
che possa condurlo fino al porto: ma quando si tratta di imbarcarsi, non ha
nulla – il veicolo spirituale non gli spetta per le sue azioni, per i suoi
meriti, non ne è l’effetto dovuto, immediato. Allora mostra la primizia della
sua fede e della sua gioia al capitano, il principe di questo mondo, il custode
della natura caduta e della soglia fra la terra e il cielo: vi è qui un primo
inganno, perché il poveretto non ha i soldi per la traversata, e la vista del
gioiello persuade il capitano che il passeggero è un gran signore, cui non
bisogna chiedere nulla. La regalità della grazia spirituale seduce la natura,
attira anche i doni terrestri, le consolazioni abbondano: ogni pasto è un sacrificio
lieto e luminoso, ci si lascia cullare serenamente dalle onde del tempo, dediti
alla contemplazione e alle sue dolcezze. Ma può accadere, e di fatto prima o
poi accade, che dopo un breve sonno, da un istante all’altro, senza
accorgersene nemmeno, la pietra preziosa venga perduta: un angelo la spazza
via, finisce nel gran mare del tempo e dell’oblio. Ci si sente perduti con
essa, cui ci si era identificati: tuttavia l’uomo, ricondotto al suo nulla –
non ha più ciò per cui aveva venduto tutti i suoi beni mortali – non può cedere alla disperazione,
ritornare su di sé, smarrire sé insieme all’esperienza divina, alla grazia
divina del passato, perché altrimenti il capitano scoprirebbe il bluff e lo
ucciderebbe. La natura, se non le si esibisce il gioiello, la gioia, distrugge
il corpo terrestre e insieme l’anima celeste dell’uomo con l’oppressione della
melanconia, che diventa disperazione e dunque dannazione se ci si identifica
con essa: è la prova suprema della creatura spirituale. Allora l’uomo perfeziona
per necessità il proprio inganno: simula
la gioia davanti al capitano – alla natura e al mondo – e in fondo anche
davanti a sé. Tale il bluff più alto, l’inganno sacro della fede, che è più
vero della realtà di perdita, assenza e notte oscura: il gioiello è dissolto,
quintessenziato, riportato alla sua scaturigine invisibile ed efficace, il seme
alla radice della colonna vertebrale, il luz
da cui tutto l’uomo risorgerà. Così non solo il principe di questo mondo
continua a mantenere in vita il poveretto e a beneficarlo, ma gli concede
addirittura il guadagno supremo: il carico di grano che vorrebbe acquistare con
un atto di peculato, rubando dal tesoro del re, usurpando una prerogativa
regale. È il raccolto della vita eterna, che il mondo non può arrivare a mietere:
lo farà l’uomo di fede, cui verranno intestate le carte della compravendita –
il povero, il mite è colui che eredita la
terra, e una volta al porto della Capitale il capitano muore, il mondo
finisce, mentre tutte le sue qualità originarie si ridestano nell’uomo redento
e trasfigurato, risorto, che ora è ricco di tutti i doni. Rabbi Nachman
commenta che il gioiello è stato perduto perché in realtà non apparteneva
all’uomo: era comunque una primizia, una grazia, uno stato dell’anima e non un
possesso definitivo; il grano invece è un acquisto, un’acquisizione dell’uomo
attraverso l’inganno mistico della fede. “E così accade con tutte le cose. Se
non sei felice, comportati come se lo fossi; la felicità verrà dopo. Così
accade anche con la fede. Se sei disperato, comportati come se fossi credente;
la fede verrà dopo” (I. B. Singer, Un
consiglio).
Nessun commento:
Posta un commento