Sogno. Un uomo baffuto dal viso
largo e scuro, forse un calderaio zigano ungherese (allusione ad un mio amico
di probabili ascendenze zingare, che sta preparando una relazione sulla
presenza della Sfinge a Roma), mi svela come un segreto del suo popolo, stirpe
di Tubal-Cain, che la forma originaria dell’enigma della sfinge tebana era il
paradosso stoico del Coccodrillo. Poi mi legge le carte: in realtà è il gioco
delle tre carte, e sui piccoli rettangoli alternativamente coperti e scoperti
non appaiono le antiche figure del Tarot, ma bizzarre immagini pornografiche,
per lo più di perversioni passive. Nell’intermondo onirico ai disvelamenti,
poiché emergono in modo meno mediato che nella veglia dalle profondità marine
del sognatore, viene riconosciuta di solito una spaesata, sospesa
infallibilità: si accetta senza dilemmi l’estraneo, così come si mina o
demolisce il residuo del consueto.
Al risveglio ho dovuto ovviamente
ricostruire, dipanare la matassa mantica con l’orecchio dell’ermeneuta. Nel
paradosso stoico il Coccodrillo, che ha rapito un bambino, dice alla madre che
glielo renderà se saprà prevedere correttamente le sue intenzioni: altrimenti,
lo mangerà. La donna pietrifica il mostro ribattendo: “Tu non me lo restituirai”.
Secondo il mio zigano, la sfinge avrebbe detto a Edipo: “La
tua vita è tra i miei artigli: te la ridarò o no? Se indovini, sì: altrimenti,
no”. Edipo, dopo la intensa e audace meditazione in cui lo coglie la celebre kylix a figure rosse, avrebbe dunque
risposto: “Tu non me la ridarai”. Vinta, la sfinge si getta nell’abisso – esito
tipico, greco e vedico, di un fallimento dialettico: ma in realtà è vinto anche
Edipo, perché secondo la sua stessa parola la sua vita resterà fra gli artigli
del mostro. Per darle scacco ha dovuto perdersi. L’unico modo, forse, per uscire
dalla morsa della Strangolatrice sarebbe stato ritorcerle contro la mossa, come
fa il dio degli oracoli, Apollo il Saettatore Obliquo, nella favoletta di
Esopo: quando l’empio gli chiede se il passero che ha nella mano è vivo o morto
(e per gabbare il Signore di Delfi ha deciso di ucciderlo stringendo il pugno
se gli dice vivo, di aprire la mano trionfante se gli dice morto), il responso è – “Dipende
da te (en soi esti, è in te)”. Solo
rispondendo come un dio, che sa i limiti del fato e della predizione – solo accettando
lo scacco come fa un dio, volgendolo a proprio vantaggio, Edipo si sarebbe
salvato dal pròblema, dalla pietra d’inciampo
lanciata dal dio stesso. “Dipende da te” riconduce il fato alla sua scaturigine
indeterminata, all’istante in cui uomo e dio si scambiano continuamente le
maschere.
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