Nel nome di Dio,
il Misericordioso, il Compassionevole
Sappi
– possa Dio farti riuscire in ciò che Egli ama e gradisce – che un dotto
trovava estremamente problematico il seguente hadith qudsi: “Ero un tesoro nascosto e amai essere conosciuto;
così creai la creazione per essere conosciuto”. Rese noto che la domanda era
stata posta a molti degli ʻulamā
nostri contemporanei, ma che non erano riusciti a dargli una risposta.
Quando
considerai quanto aveva detto, Dio – sia Egli esaltato – mi ispirò quattro
risposte. Comincerò riportando ciò che ha detto e poi aggiungerò le risposte
che Dio – sia Egli esaltato – mi ha elargito per grazia.
Il
problema è che il nascondimento è una realtà relazionale, in quanto dev’esserci
qualcosa di nascosto e qualcos’altro al quale il primo è nascosto. Non è
possibile che colui al quale qualcosa è nascosto sia Dio – sia Egli esaltato –
perché Egli è manifesto a Se stesso, conoscitore della Propria Essenza nella
preeternità e nella posteternità. Né è possibile che sia la creazione, perché non
esistevano creature nella preeternità in modo che Dio potesse essere loro
nascosto. Il hadith dice: “Dio era e
non c’era alcuna cosa con Lui”. Pertanto il nascondimento implica gli esseri
creati e questi ultimi sono la causa secondaria del nascondimento, non della
manifestazione. Ma ciò è l’opposto di quanto indicato dal hadith, perché nel suo senso letterale il hadith indica che Egli – sia Egli esaltato – era nascosto nella
preeternità quando la creazione non esisteva. Questa era la domanda iniziale.
Ebbene,
io dichiaro che una risposta a questa domanda può esser data in diversi modi.
Il primo è che per nascondimento si intende la non-esistenza di qualcuno
all’infuori di Lui Stesso che Lo conosca. Quando volle che ci fosse una
pluralità di soggetti che Lo conoscessero, Egli creò la creazione. Egli
espresse la non-esistenza di un conoscitore con l’immagine del nascondimento,
come se avesse detto: ‘Io ero un tesoro glorioso e un nobile gioiello, ma non
c’era nessuno che fosse consapevole di Me tranne Me stesso e nessuno che
conoscesse la Mia esistenza se non Io’. Perciò usò l’immagine del nascondimento
in un senso generale, intendendo quanto è da essa implicato, ovvero la
non-esistenza di chiunque potesse conoscerLo. Quindi il significato sarebbe:
‘Io ero un Signore benefico e un Dio di grazia e di traboccante pienezza, ma
nessuno era consapevole di Me né conosceva la Mia Perfezione e la Mia Bellezza.
Così amai essere conosciuto e creai la creazione per essere conosciuto’. Questo
è un significato plausibile e che non fa problema.
La
seconda risposta è che le cose hanno due tipi di esistenza: l’esistenza nella
conoscenza e l’esistenza esterna. L’esistenza nella conoscenza coincide con le
cosiddette entità immutabili, che sono primordiali e preeterne. L’esistenza
esterna è originata nel tempo e il nascondimento di Dio – sia Egli esaltato –
era relativo alle entità immutabili nella preeternità, perché le entità
immutabili esistevano con Dio ma non avevano alcuna consapevolezza di Lui, e
perciò Dio era nascosto relativamente a loro. Quando Egli volle che le entità
immutabili Lo conoscessero, le condusse dall’esistenza nella conoscenza
all’esistenza esterna in modo che Dio, sia Egli esaltato, fosse conosciuto,
perché non si può essere consapevoli di Dio, sia Egli esaltato, se non
attraverso l’esistenza esterna.
La
terza risposta si ricollega a quel che [al-Jawhari] dice nel Sihāh, riportandolo da al-Asma’i: “ho
nascosto la cosa” vuol dire “l’ho sigillata”, ma anche “l’ho resa visibile”,
perché questo [verbo] appartiene al gruppo degli addād [=termini con significati tra loro opposti]. Perciò le Sue
parole: “Ero un tesoro nascosto” possono essere intese come derivanti dal
termine ‘nascondimento’ nell’accezione di ‘manifestazione’. Quindi il hadith significherebbe: “Ero un tesoro
manifesto a Me stesso, ma non c’era nessun altro a conoscerMi tranne Me stesso,
e Io amai che qualcuno all’infuori di Me potesse conoscerMi, e creai la
creazione”.
La
quarta risposta è che il significato può essere: “Ero nascosto al massimo della
manifestazione”, come se avesse detto: “Il Mio Sé era quasi nascosto a Me
stesso, e a fortiori agli altri, a
causa della massimità della manifestazione. Perciò creai la creazione come un
velo alla Mia manifestazione e una cortina sulla Mia luce in modo che parte
della Mia manifestazione restasse nascosta e gli esseri creati potessero
percepirMi”. Non sapete che se qualcuno desidera guardare direttamente il sole
si fa ombra agli occhi con la mano e copre una parte della sua luce in modo da
poterne percepire un’altra? Perciò Egli creò gli esseri creati affinché fossero
un velo sulla Sua luce e ne fece una causa secondaria del Suo essere percepito:
“Amai essere conosciuto e creai la creazione”. Sia lodato Colui che pose la
manifestazione a ostacolo del percepire e fece della cortina e del velo una
causa secondaria della manifestazione e della percezione. Questa è la
conoscenza delle realtà.
Breve commento
Questione
relativa al hadith del Tesoro
Nascosto: nascosto a cosa? Non a Sé (Egli è manifesto a Se stesso), né alla
creazione che non esisteva. Eppure tale nascondimento sembrerebbe implicare una
relazione eterna tra Haqq (Dio) e Khalq (Creato): il tesoro dell’Essenza
manifesta nei Suoi Nomi e nascosta nei Suoi Nomi, batin e zahir in una
dialettica circolare inestinguibile.
Prima
risposta: il nascondimento è relativo a un soggetto conoscitore altro da Sé;
Dio volle essere conosciuto da altro, in altro, volle essere in altro – la
Volontà-Uno vuole l’ostacolo, l’objectum,
farsi oggetto, specchiarsi, la conoscenza di Sé nello specchio dell’altro è
un’estasi d’essere nell’altro. Da un lato abbiamo la Volontà di Schopenhauer,
non-razionale, ignorante, che vuole soddisfare la propria tensione infinita nell’esistenza
finita, fallendo infinitamente – ovvero la Volontà come tanha, come soggetto della Maya-Avidya; dall’altro abbiamo il bonum diffusivum sui, la volontà
estatica che si realizza nella libertà chiudendo infinitamente il circolo del nihil, il nulla preesistenziale come
riflesso della decreazione “finale”, dell’epistrofè
che riassorbe la manifestazione.
Seconda
risposta: Dio è nascosto alle entità immutabili nel loro stato di esistenza
conoscitiva, ovvero come idee in mente
Dei, perché in tale stato non sono consapevoli di Lui, non sono presenti a
Lui – sono non-esistenti, pure relazioni nell’immediatezza
conoscitiva-esistenziale di Dio; così Dio volle che le entità fossero
consapevoli di Lui nello stato di esistenza esterna, come realtà individuali, enti
che partecipano dell’atto d’essere che è Dio stesso. La volontà creatrice è
l’impulso, senza prima né poi, con cui il Reale si realizza nell’esistenza una
e molteplice, come individualità determinata nelle infinite individualità, in
tal modo trasferendo le proprie determinazioni essenziali, implicite,
immediate, nelle esistenze-teofanie: la libertà come non-oggettualità, come
superamento dell’ostacolo-ignoranza, richiede il velo, lo specchio, il limite
che dinamizza, mette in collegamento l’essere con se stesso, si pone come barzakh tra l’Infinito e l’Infinito, tra
i due oceani. Così l’ignoranza e il male sono il segreto del Reale, di Dio, la
Sua iniziazione come iniziazione a Sé.
Terza
risposta: coincidenza di occultamento principiale e manifestazione principiale;
il Tesoro è nascosto-manifesto, nascosto perché manifesto, manifesto perché
nascosto. La Sua manifestazione è occultamento all’altro da sé, esclusione
dell’altro da sé, del nulla, ma anche vincolo alla libertà-bene; il Dio
manifesto a Sé è occultato all’altro da Sé, ovvero alla propria pienezza-realtà
suprema, la Sua presenza a Sé come posizione di Sé è mancanza dell’altro e
bisogno dell’altro, della creazione come effusione estatica della Misericordia,
limitazione che realizza l’infinito, manifestazione-riflesso che rende tutto
intimo, Spirito.
Quarta
risposta: La manifestazione di Dio, del Reale come Dio, è nascondimento a Sé e
all’altro, è come se lasciasse un residuo, aprisse un vuoto: così il velo che
consente la rivelazione è il compimento della manifestazione; l’ignoranza, il
nulla, il male sono ciò che manifesta la sovraconoscenza, la
sovraconsapevolezza del Reale di cui parla Eriugena, che è ignoranza sopra la
conoscenza, intimità libera.
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