Sottoponendo
alla consueta deformazione creativa il testo scritturale – del resto già
deformato e conformato dalla tradizione e quasi sfigurato, a volte, dal greco
spontaneamente allegorizzante dei Settanta – i Padri dell’ascesi ovvero della
psicologia cristiana hanno letto in Dt
32,33 che l’ira (thymos) è vino dei draghi. Il sangue del Drago
precosmico, Tiamat, viene utilizzato nella cosmogenesi dal Dio-Demiurgo,
Marduk: il veleno inerente al caos, alla pura potenzialità (che resiste
passivamente al pensiero creatore), viene trasmutato, con violenza e sagacia,
in materia e sostanza del mondo. Così l’alchimista, nella sua miniatura di
cosmogenesi (e palingenesi), trae dal Drago l’essenza tossica e pericolosa, il
sangue corrosivo e volatile, e lo volge in Acqua di Vita, Latte della Vergine,
materia filosofica, chiarezza e nutrimento (il Drago custodisce la Vergine –
dentro di sé: la Vergine è l’esoterico del Drago, ovvero il Drago è l’ombra
mortale della Vergine). Se l’ira, essenza passionale del diabolico, dell’infernale,
è vino che inebria il drago e suo sangue, e se sangue e vino sono sotto il
segno di Gevurah, del Rigore
implacabile, come il Male stesso – allora c’è nell’ira un’acqua (simbolo di Hesed, la Grazia), un latte di
consapevolezza, un sostrato fecondo e quieto, che va estratto, portato alla
luce e ulteriormente lavorato. Isacco il Siro suggerisce che l’ira – il male –
nasce dal gettare il dolore all’esterno, dal non sapere che si dispone di uno
spazio interiore per portarlo: il dolore, uscito dal vaso dell’opus, energicamente fluito, schizzato
sull’altro, sugli altri, diventa ira, diabolicità (quindi lacerazione e
letteralismo); e specularmente l’ira, che stringe i legami con il mondo
condizionato, il male di vivere continuamente scagliato, proiettato
all’esterno, se rientra nel vaso, se viene portata, assunta, accolta (cioè al
contempo uccisa e tenuta in grembo), diventa quella stoffa di cui è fatto il
sogno della trasmutazione, la luce materiata, la materia sottile della
coscienza immaginale da cui nascerà il filius
philosophorum, telos
dell’universo, dunque anche (soprattutto) del Drago.
I
tre porcellini. Le tre potenze o livelli dell’anima incarnata (porco). Si
costruiscono tre case, tre veicoli o corpi: il primo – epithymetikon – di paglia, ovvero di esperienze irrelate, slegate,
che volano via al primo soffio del tempo-lupo; il secondo – thymikon – di legna, di sentimenti
naturali, legati assieme dalla memoria; il terzo – logikon – di pietra, ovvero un veicolo di immaginazione fissata,
squadrata, tagliata. Nel momento del peirasmos
le due potenze inferiori si rifugiano nella rocca della terza o prima: tuttavia
il lupo può penetrare anche lì, attraverso il camino – mischiato con l’aria dei
pensieri, furtivo invece che violento. Allora il logikon ingiunge alle due potenze passionali di accendere il loro
fuoco per bruciare il culo al lupo, e infine di bastonarlo a morte o fino a
farlo fuggire.
Lupo,
diabolos, entropia: lo Stige, l’Odio-Orrore
su cui giurano gli dei. (Neikos in
quanto istinto di morte è ‘necessario’ perché continuamente divora il
visibile-tangibile, la manifestazione terrestre, impedendone la fissazione
immatura, idolatrica, e rendendo possibile la trasmutazione, la sintropia come
autotrascendimento ininterrotto. Vedi Eliade sui citta-vritti). Il lupo è Apollo, il sole e l’Uno nel suo aspetto
distruttore.
Il
brutto anatroccolo. Non va inteso come lo pneumatico, lo gnostico nel senso del
destino raro, eletto, ma come l’uomo in seno alla natura o lo spirito in seno
alla natura. L’anatra è la prakriti,
la physis, i figli sono le sue
manifestazioni. Il brutto anatroccolo è lo spirito, la consapevolezza
spirituale nascente, confusa con le altre manifestazioni della prakriti e fatta oggetto di disprezzo
perché goffa, inadeguata etc. (i segni della vocazione spirituale, sciamanica –
la malattia, l’incapacità di incastrarsi in un piano dharmico preciso etc. Il
cigno – hamsa – è lo jivanmukta, che è al di sopra dei varna come il candala è al di sotto).
Nessun commento:
Posta un commento