Importanza
dell'allenamento della fantasia veicolato dal linguaggio. La parola
stress indicava il logorio dei metalli durante la lavorazione
industriale: si parlava anche di "logorio di nervi",
"esaurimento nervoso", espressioni emerse dal tohu
wa-vohu del tardo Ottocento, positivistico e occultistico in uno;
e la suggestione fantastica che le ha generate sopravvive nella
maggior parte di noi. Ma se io dicessi: "stamattina sono andato
a lavorare in automobile e la mia immaginazione si è riempita di
detriti e cartacce", la prospettiva muterebbe in modo radicale.
Anch'io sono in grado di ripulire decentemente la stanza, il palazzo
o il campo dell'immaginazione: ma per rafforzare, rammendare o
riforgiare un filo metallico o un nervo logorato ho bisogno di
chiamare un esperto.
Se ritualizzassimo le
azioni quotidiane, l'oscurità della nevrosi, ingannata, diventerebbe
l'oscurità del rito, che è feconda e germinale come quella
terrestre. Ovviamente il rito dovrebbe custodire una scintilla di
consapevolezza dell'atto nella sua specificità: sedersi al computer,
collegarsi alla Rete mondiale non è come sedersi alla macchina per
scrivere o scegliere un libro sugli scaffali di una biblioteca.
Piuttosto, è qualcosa come porsi di fronte ad uno specchio magico: e
nessun operatore ermetico, stregone di villaggio o regina malvagia
resterebbe dodici ore con gli occhi piantati nello spazio sospeso ed
enigmatico cui si accede lasciando che la superficie riflettente si
animi. Il rito ci offrirebbe così, com'è suo perpetuo ufficio,
equilibrio e finezza, senso e intuizione delle proporzioni, fluidità
e potenza.
Dovrebbe essere semplice
fare di un sodalizio umano, di una lega ideale, che mette in comune
intenzioni, pensieri, sentimenti – qualcosa di affine a un ordine
cavalleresco o religioso: basterebbe prendere sul serio tutto ciò
che l'associazione implica, in linea di principio e nei particolari
quotidiani, imprevedibili, fluttuanti, e non nel senso della gravità
orgogliosa, saturnina, raggelante, ma del serie ludere
antico. Le regole di un gioco
sono talmente trasparenti e densamente simboliche al contempo che
quasi non si può non tendere più o meno lucidamente alla
cavalleria, alla confraternita: le volontà confluiscono nell'unità
impersonale eppure riescono esaltate nella loro individualità; le
immagini iniziano a circolare, diventano efficaci, i segni fioriscono
come in una primavera di incontri amorosi tra il destino e l'azzardo,
i pensieri sorgono spontaneamente corposi e infuocati, un eros
inatteso dai singoli spunta al centro del circolo come l'albero della
conoscenza del bene e del male, offre droghe e nutrimento e solo
l'attenzione costante al rito, al setting,
al corpo delle relazioni riconduce ogni volta le passioni alla loro
matrice immacolata – anche se non è sempre certo che sia davvero
propizio per il più alto fine dell'ordine.
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