(Un viale alberato nella periferia di una
città europea. James Hillman, il grande psicologo e pensatore ebreo-americano,
passeggia con Philexinus Izmirli, un oscuro ebreo turco. Hillman è vestito con
sprezzatura: camicia bianca, le maniche parzialmente arrotolate sugli
avambracci, pantaloni color sabbia, mocassini bruni. Philexinus è palesemente a
disagio negli abiti occidentali: i jeans neri sembrano fasciarlo come una
divisa da parata levantina, il cappotto grigio, inopportuno nel pomeriggio di
tarda estate, gli dà un’aria da detenuto appena rilasciato. Hillman accompagna
le sue parole con gesti ampi, chiari, uccelleschi; la gestualità di Philexinus
si riduce alle brevi scosse del capo con cui annuisce o dissente, anche se, di
quando in quando, si afferra per un istante la punta della barbetta rossa.
La coppia passa
davanti a un chiosco ambulante. Hillman prende un panino con dell’arrosto di manzo,
Philexinus una bottiglia di birra scura. Nonostante le deliziose proteste di
Hillman, Philexinus si affretta a pagare con una banconota sgualcita).
Philexinus: Maneggio del
denaro in modo automatico: mi ricordo di vedere il gesto in trasparenza, e colgo
il flusso mercuriale dei segni e delle merci, la proiezione del desiderio,
oppure, se si tratta di una moneta, scorgo l’idolo solare, tondo, col volto di
un eroe o l’emblema di uno Stato; grazie all’immaginazione, al pensiero del
cuore, sento e contemplo che in questa permutazione sopravvive l’idea del
sacrificio, l’idea che il simbolo è più potente della merce e anzi la valuta e
qualifica, e se il mio cuore è quello di un cittadino e non di un suddito, mi
si rivela la rete di interdipendenza in cui tutti siamo catturati,
l’alienazione magica che ci induce a tradurre le qualità in numeri e sigle,
l’ingiustizia che falsa le bilance. Ma una volta applicato questo sguardo
psicologico, archetipico, al mio gesto quotidiano e per lo più inconscio, non
so ancora che il denaro è un atto storico, un’invenzione che è divenuta una
seconda natura, qualcosa che andrebbe ripensato e rifatto. Certo, se sono
arrivato a questa soglia è perché ho meditato, perché ho guardato in
trasparenza: ma qui mi attende una decisione, un giudizio, che nel mondo
sospeso dell’immaginazione non trovo.
James: Eppure è
proprio guardando in trasparenza che il cuore si prepara a ricevere, come uno
stampo scavato a puntino, l’idea imperiosa destinata a guidare la sua condotta
nel mondo.
Philexinus: Sì, ma la
decisione a cui arriva, e che lo precede, è qualcosa di non ulteriormente
trasparente: è, in quanto spirito, qualcosa di primo e ultimo. Il sogno
dell’anima congiunge la lettera solo letterale dell’atto vissuto confusamente,
inconsciamente, alla lettera spirituale
che è il muro di cinta di un cosmo, di una cultura, entro il quale il gioco
ermeneutico è possibile, e possibile proprio a questa condizione.
James: Se ho capito
bene, mi stai accusando di un certo dualismo kantiano...
Philexinus: Ti si addice
molto parlare di accuse – se preferisci, sì. Chiamalo kantiano, o colorato di
quell’intellettualismo rinascimentale che, ad esempio, vedeva nelle terzine
arroventate di Dante una sorta di allegoria esoterica, nitida e intricata come
una tela di Botticelli.
James: Come usavano i
vecchi maestri del dialogo erotico, i dialettici, ritorco contro di te
l’accusa, o la contestazione, se vuoi: sei tu il dualista, se contrapponi il
sogno mediatore dell’anima, la sua fluidità potenzialmente illimitata, alla
solidità letterale dell’atto concreto e della rivelazione spirituale. Gli
antichi vivevano il simbolo in modo unitario: non c’era un non plus ultra erculeo al fare-anima, alla meditazione infinita di
anima, né una muraglia esterna che fosse opaca alla sua luce crepuscolare.
Philexinus:
Ma se non c’è un recinto rituale, una tradizione, che ne è del giardino del
mito?
James:
Il mito non è solo un giardino: è anche una valle, la valle di cui parla Keats
– o i cristiani, e il salmo 23: Se anche camminassi nella valle dell’ombra
mortale, la valle del descensus…
Philexinus: D’accordo.
Anche la valle esiste perché delimitata dai monti.
James: Come sai, io
non nego che l’esistenza umana sia un va-e-vieni tra i picchi e le valli, tra
gli incontri con l’Eros alato e le lunghe peregrinazioni – tutti quegli anni in
cantina a separare i ceci dai piselli, a coprirsi di cenere tra le faccende
umilianti, tutti i tormenti imposti da Afrodite a Psiche caduta.
Philexinus: Certo che lo
so. Quello che non ho capito è perché sfuggi così maliziosamente al limite
dell’epistrofè, allo “sguardo
semplice” del nous… Non mi dire:
“Perché mi occupo dell’anima, io, sono un psicologo”!
James: (ride fragorosamente) Non è male, come argumentum ad hominem…
Philexinus: Eppure la tua
psicologia, la tua revisione, sarebbe
preziosissima proprio per revisionare la metafisica, il nous – abbiamo un tale bisogno che risorga, ma liberato dalle sue
rappresentazioni, dalle false immagini, o idoli, che lo letteralizzano…
James: Non credi che
io abbia cercato di mostrare all’anima la soglia su cui questo incontro è di
nuovo possibile?
Philexinus: Io sì, e con
me altri. Ma temo anche che il tuo carattere marziale…
James: (ride di gusto)
Philexinus: Aprile, il mese scelto dal tuo daimon, viene da aprire, fendere,
spaccare il suolo. A volte penso che tu abbia diffuso le tue idee assumendoti
il rischio di una loro ricezione mutilata, dualistica appunto, addirittura di
un loro comico misreading come una
sorta di legittimazione per intellettuali vergognosi della loro ombra New Age – una psicologia “creativa”, una
terapia gnostica senza impegni verso il Pleroma…
James: Bella prova di
“psicanalizzazione”, come dicono da noi – o di moralismo, come si dice, o
diceva, da voi…
Philexinus: (ride) Imputato, risponda alla domanda!
James: Vuoi farmi
rivelare che sono stato esoterico. Vuoi che ti dia la chiave, il filo
d’Arianna, la soluzione dell’enigma…
Philexinus: (sorride imbarazzato) Sono un po’
apollineo, vero?
James: (ride) A-pollon, apollymi – la
non-molteplicità che uccide…
Philexinus: La tua
elusività è una risposta.
James: Ma non nel
senso che nasconda la risposta, il testo “in chiaro”. Nel senso che è la risposta.
Philexinus: Questo
intendevo.
James: (sorridendo con fraterna dolcezza) Attento
a non intendere troppo… Hai appena
sfiorato l’oracolo, sai cos’è successo a Edipo…
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