Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



martedì 31 gennaio 2012

Note gnostico-cabbalistiche



Mito gnostico di Sophia e “mito” cabbalistico della Shekhinah-Malkuth: l’Immanenza è l’Io, ovvero il manifestarsi del divino come soggettività vivente, come creatura. Il Dio che entra nello specchio, ovvero che conosce Sé-manifesta Sé – e facendolo non può che oscurare Sé, contrarsi, nascondersi (e contrarsi-nascondersi a Sé: il lethe, l’ignoranza-stupore di Dioniso-Zagreo, di Sofia, appunto).
Il pathos di Sofia è la ricerca del Padre, ovvero del Prepadre, dell’En-Sof (in termini cabbalistici): ma ciò è impossibile se non nella manifestazione, nel rapporto rabb-marbub, nel dialogo-sizigia tra l’Io e il Tu, che è il Nous, il Primo Manifestato, il Figlio-Padre. Tale l’archetipo, nel Pleroma, del peccato di Adamo ed Eva. Alla radice del male c’è un pathos in cui si confondono desiderio di conoscenza dell’Uno e rifiuto della manifestazione dell’Uno, autoaffermazione e autodistruzione: Iblis come monoteista estremo, come colui che non si prostra all’Adam Qadmon – la Luce Priva di Pensiero (del pensiero di creare-manifestare, or she-ein bo mahshavah) nella teosofia di Nathan di Gaza. È il segreto del dualismo manicheo: en archè è il Deus revelatus, la manifestazione del Divino – e tale manifestazione ha un’ombra, Skotos, il Male. L’ataktos kinesis della Tenebra è il moto non ordinato al fine di manifestare, l’Amore di cui parla il hadith, la Misericordia: una resistenza all’atto creatore, un desiderio di permanere nell’Infinito – ma dall’interno della manifestazione, quindi il male è maschera mistico-messianica del Bene perfetto, finale, del nihil escatologico di Scoto Eriugena: maschera maledetta da una coscienza insieme altissima e impossibile, assurda (è il fascino di Iblis, del Satana di Milton, del Ribelle Nichilista).
La passione di Sofia, passione solitaria, concepita senza l’unione con il maschio (Theletos, Voluto, direi suficamente marhum), genera una sostanza informe: mestruo, niddah, golem abortivo, emorragia che è pura e quindi maledetta potenzialità finché vaga nelle tenebre esterne, ovvero finché è proiettata in avanti, nell’illimitato – la posizione della creatura cosciente. Solo l’incontro crocifiggente e plasmante con Horos, il Limite, la rende feconda: ma è pur sempre un impasto di stupore, ignoranza e paura. Achamot è lo spessore della separazione, fatto di passione coagulata, di quell’attimo di sospensione angosciosa che ha colpito Sofia tra la sua caduta e la sua epistrofè (ulteriore passione, da cui sorge l’anima come piano intermedio, nostalgia del ritorno).
La Misericordia che è stata la volontà di manifestarsi comprende in sé il Giudizio che contrae l’Infinito, il Nulla, affinché appunto vi sia manifestazione: e in tale oscuramento, in tale ritrarsi della luce divina per fare spazio, in tale estasi dell’Infinito nella soggettività del mondo che è oggettività del Divino, si radica il male come potenzialità e “realtà” del piano intermedio, tra l’archè e l’eschaton, come ciò che è misteriosamente connesso ai limiti della creazione. Secondo il midrash la Luna (Malkuth) accusa di Dio perché non è luminosa come il Sole (Tif’reth): è una sofferenza costitutiva della coscienza, del mondo. Dio, che è Sole-Luna, chiede agli uomini di offrire, in occasione della luna nuova, un capro come espiazione per aver diminuito, o sminuito, la Luna: l’impulso alla teshuvah parte dal basso, dalle acque inferiori o femminili, dalla Shekhinah.

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