Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



lunedì 9 dicembre 2013

Meditazioni orfico-dionisiache (agosto 2013)



"I cadaveri vanno espulsi con più urgenza degli escrementi" (Eraclito). Lo sfondo è indubbiamente orfico: il corpo grossolano, il corpo-oggetto, nato dal nutrimento, è un cadavere, perché non è legato intimamente al principio della sua vitalità; il contatto con un morto rende impuro il vivente, che dunque dovrebbe liberarsene con la stessa prontezza con cui si sente la necessità di sgravarsi degli escrementi, il residuo o caput mortuum dell'assimilazione. Tuttavia l'enigma va inteso alla luce della sophia eraclitea nel suo complesso: il sole è nuovo ogni giorno, ogni istante, le cose apparentemente stabili, l'apparente continuum dell'esperienza ordinaria è un flusso, un fiume costantemente rinnovato. Quindi l'Efesino ci sta esortando ad espellere il corpo che dura più di un istante, l'illusione cadaverica di una continuità materiale passiva e permanente: così facendo ci si libera dall'escremento, si è vuoti e leggeri, si vive fluidamente, dionisiacamente, invece di titanicamente e duramente-durevolmente morire.

In un affresco medievale Adamo ed Eva sono ai piedi di una enorme Amanita Muscaria. L'albero della conoscenza del bene e del male è un fungo stupefacente: coincide con l'albero della vita, la differenza sta nel modo dell'assunzione – la droga che conosce il bene e il male è la coscienza riflessa come caduta nella dualità, stupore che separa dall'integrità divina. Così il vino nel dionisismo orfico è l'umidità che appesantisce l'anima ignea, che la rende ebbra e barcollante, ma bevuto ritualmente è il farmaco della risalita, del ritorno o epistrofè, la sua azione dissolvitrice nei confronti della coscienza ordinaria, del continuum di coscienza quotidiano, apre il varco della trasmutazione, manda in putrefazione la psiche e fa scoccare la scintilla ardente di uno spirito corporificato, fluido, androgino, senza opposizioni. Nel mito aristofanesco del Simposio Zeus dice agli uomini dimidiati, sessuati, che se sfideranno ancora il divino in modo titanico, prometeico, li taglierà di nuovo a metà, rendendoli unidimensionali come i contadini che, durante le feste dionisiache, praticano il rito festoso dell'askoliasmos, il tentativo di mantenere l'equilibrio con una gamba sola su un otre di vino coricato: la Pentecoste dionisiaca agisce anzitutto come una perdita della relativa integrità umana, il coribante ebbro è un danzatore zoppo, un acrobata sul punto di inciampare e crollare nel fango, feccia del mondo, privo di consistenza e orientamento, scisso e lubrico. Lo Spirito glorifica mortificando, il cenacolo degli apostoli privi del loro capo – hanno perso la testa, in tutti i sensi – è un komos di deliranti, esposto a ogni truffa, parodia e primizia della pienezza finale. Dioniso è il re fanciullo del ciclo più amaro del kali-yuga, e proprio per questo è lui, lo scuotitore di case, l'appestatore di città, a promettere la dolcezza più ricca e appagante, che sazia e placa ogni combat spirituel.

Olimpiodoro: il nostro corpo è dionisiaco. Corpo glorioso, ma la sua gloria, il suo ganos è inerente alla caduta, mescolato alla fuliggine del corpo titanico.
Il corpo di resurrezione emerge come nei testi shivaiti: di istante in istante, quando la scossa passionale si esaurisce in se stessa, si dissolve in movimento, vibrazione, gioia.

Melancolia e akedia, accidia: il demone meridiano come duende che seduce l'eroe dell'askesis, il meditante. Peste che distrugge a mezzogiorno, zaharim: nell'ora dello zahir, dell'assenza di ombre, Sirio indebolisce la violenza virile e rende folle l'energia femminile (Alceo). Tema nicciano: la verità come ostensione della parvenza, mezzogiorno della storia spirituale.
Enigma orfico-dionisiaco di Sileno a Mida, il sovrano dell'anti-Cuccagna, dell'età dell'oro letteralizzata. Sileno dice: perché vuoi sapere ciò che per te, uomo, è sommamente funesto? La cosa prima, la migliore, per voi è non esser nati, la seconda, una volta nati, morire al più presto. Dioniso è il re dei morti, colui che fa del mortale un grappolo d'uva: la gloria della zoè 'indistruttibile' (Kerenyi), dell'aphtharsia, risplende sull'abisso orfico della caduta originaria, lo scempio titanico. Equivoco dei nichilisti: mè phynai non è mè einai, non-nata è a-ja, la natura-capretta, l'aion che sempre fluisce.
Si può riscoprire il nesso silenico fra accidia melanconica nel panico mezzogiorno ed ebbrezza-mania trasfigurante, divinizzante? Dioniso va lasciato entrare, va accolto: allora la sua possessione non è l'ottenebramento distruttivo dei miti, ma è la dolcezza mielata della vita al confine. Non ermeticamente, attraverso la phronesis, la metis (intelligenza ermetica), ma attraverso il pathos stesso. Bachofen: Dioniso media tra il demetrico, il diritto materno, conservato dall'orfismo, e l'apollineo, il diritto paterno. Rivoluzionario, straniero, veniente, traghetta i doni dell'archè nella notte del transito, nella mera dissoluzione della krisis (Hoelderlin). Oggi i fenomeni riconducibili all'archetipo dionisiaco mancano di questa consapevolezza notturna, simile a una fiaccola portata sui monti e per le valli, la percezione di una gloria corporea della melancolia, della 'depressione'. Eraclito: Dioniso e Hades sono heautos, "il medesimo"; se manca questa consapevolezza, gli oggetti venerabili, indicibili del rito vengono manipolati senza aidos, l'happening è mera carnevalata, Saturnale, sul tiaso hippy e sulla parata del Gay Pride mettono le mani i Pentei ormai avvisati, trasferiscono quella seduzione alle loro merci (Anders), alle loro istituzioni asservitrici. La celebrazione diventa autocelebrazione narcisistica, rituale sterile dell'età dei consumi. L'ombra rimane staccata, inconscia, Manson non viene inserito nel mito ma espulso, l'AIDS non è pandemia, peste artaudiana che si fa teatro ma vergogna da occultare, ennesimo pharmakos.
Incombe il timore, da Nietzsche in poi, di ricondurre Dioniso a Cristo, anche nella forma del Paraclito, del Terzo escatologico: evocare la Croce introdurrebbe l'ascesi nel rituale orgiastico, mutilandolo. Ma questo perché la depressione, come insegna Hillman, è vista solo all'interno dell'orizzonte cristico, non più tragico-giocoso ma 'spirituale': e il paradigma apollineo-erculeo falsifica la coscienza dionisiaca, ipocrita, 'bisessuale', policentrica, fluida, in 'percorso di integrazione'. Impossibile, però, tornare alla visione rinascimentale della melancolia, tutto sommato legata al modello umanistico: il 'melanconico' di oggi è un 'dissidente' del mondo dei consumi, un ribelle del tutto inconsapevole. Il sorriso ozioso ed ebbro di Sileno non ha nulla a che vedere con il ghigno del drogato prima borghese e poi massificato. L'I prefer not to del depresso contemporaneo è più silenzioso e più violento al contempo.

Omar Khayyam: di nuovo pessimismo ed ebbrezza. Epicureismo mistico. L'istante di ebbrezza mistica e il disprezzo per il mondo della morte e dei morti viventi, per i vincoli sociali e confessionali. Quietismo, ma non letteralizzato: una dolce esultanza, un ebbro abbandono che fa vedere doppio, che indossa una maschera inafferrabile (è un sufi o uno scettico? Un monoteista o un dualista, un manicheo?). Ciò che Penteo teme di più, in quel ciarlatano dai lunghi capelli, morbido ed evasivo, è la sua indeterminatezza politica: dionisiaco è il democratico entusiasta, il demagogo dall'occhio febbrile, il fondatore di comunità di eguali o di pari e l'autocrate istrionico, inconsistente o delirante. D'altronde, il lato iniziatico, misterico del dionisismo assume aspetti ben diversi se fa sentire la sua creatività 'politica' in tempi di piccole comunità fiere, combattive e libere oppure di imperi che si reggono sul sostegno delle plebi e incantano, con il terrore e/o l'inganno, i senati e le assemblee 'aristocratiche'.

Orfismo e interpretazione noetico-spiritualistica del dionisismo. La Rivelazione abramica nasce dal rifiuto dialettico dell'immediatezza dionisiaca, legata a Cam: così va letta, secondo la Weil, la proibizione di cuocere il capretto nel latte della madre (lamina dell'esoterismo orfico: capretto caddi nel latte). Forse anche il divieto noachide di mangiare l'animale con dentro il suo sangue è diretto principalmente contro lo sparagmos del dionisismo mediterraneo, fermento camita.
Mito di Aristofane nel Convito, dialogo tra maschi che assumono il sangue di Dioniso temperato con la fredda acqua 'giunonica' o 'orfica' o 'apollinea'. Gli uomini integri primordiali, se uomini-uomini, hanno una stirpe e dunque un eros solari: l'omoerotismo apollineo, aristocratico, l'iniziazione maschile, guerriera. Se donne-donne, sono terrestri: la 'comunanza sororale' di Antigone? Comunque l'omoerotismo femminile come iniziazione ctonia e demetrica, misura del diritto materno. Se uomini-donne, androgini, sono lunari: dionisiaci. Dioniso, secondo Bachofen, media tra il demetrico e l'apollineo: tra Sole e Terra, nous e corpo. Come l'anima. Dioniso ha molti nomi, è hygros (umido) come l'anima incarnata, 'molti-e-uno', riflesso inebriato, caduto, dell'uno-molti del Nous e dell'uno-e-molti dell'Anima Mundi (che forse è Dioniso nel suo stato celeste, principiale).

Hoelderlin e l'elemento patrio: bisogna ritornare ad esso, convertirsi ad esso – epistrofè – attraverso l'elemento opposto, che diviene un anti-self, una maschera. Dioniso, il proprio, ritorna sempre come Straniero: potenziale nemico e ospite (hostis-hospes). I Greci avevano come elemento patrio l'orientale, l'aorgico, per questo per esprimersi si affidarono all'elemento della sobrietà giunonica e della distanza apollinea, indulgendovi troppo fino all'artificiosità ellenistica. Noi, occidentali, esperidi, abbiamo come elemento patrio la sobrietà giunonica, il limite, tendiamo perciò allo scatenamento aorgico – ma, sembra dire Hoelderlin, per lo più inconsciamente. Differenza tra l'instaurazione della democrazia ad Atene e la Rivoluzione Francese.

Sofocle è il "più tragico": esprime secondo Nietzsche il sentimento popolare ateniese, l'idea – distante dalla teodicea dell'iniziato Eschilo – che la dismisura tra l'uomo e il dio coglie come sventura e dolore l'incolpevole, Edipo, trasformandolo con il pathos in un essere benedicente, una figura di debolezza e trasfigurazione, dionisiaca. Il suo pathos misterico è più essenziale e profondo proprio in quanto non esplicito: l'intuizione sapienziale della 'nullità' umana, congiunta a quella della sua deinotes (lo sradicato è deinos, è 'smisurato'), trascende persino quella religiosa di colpa.

Non bisogna letteralizzare la crudeltà nei miti e in alcuni riti dionisiaci (soprattutto fuori dall'Attica): si tratta di diventare bacchoi, attori, l'identificazione va vissuta con la doppiezza dell'occhio teatrale, della maschera.

Nell'Era dei Pesci il dionisismo si è scisso fra l'excessus mentis della mistica e il carnevale delle danze sacre-iniziatiche e feriali-popolari (vi è già una anticipazione nel giudaismo, ovvero nella rivelazione semitica più antica). La festa dei folli e quella degli asini sono appunti sospensioni carnevalesche: i sacerdoti si allontanano, lasciano il campo agli avvinazzati. Si nota qualcosa di simile già nel periodo ellenistico, questa lunga preparazione al nuovo impero spirituale. Noi siamo sempre meno adatti ad accogliere l'epidemia nella trasognata consapevolezza di un rito: forse Dioniso era ed è, soprattutto, un invito al trasognamento, a una coscienza liminare, sobria-ebbra, androgina (Hillman).
L'India postvedica ha fatto di Shiva un 'asceta erotico' (Doniger), la Grecia presocratica ha fatto di Dioniso un alleato di Apollo, uno xenos che riplasma la comunità invece di distruggerla.
Dialettica post-nietzscheana: non si può contrapporre del tutto Dioniso a Cristo; non siamo in un epoca post-cristiana, ma apocalittica (Illich); il 'terrorismo morbido', il double bind del tardo capitalismo ci rendono quasi impossibile celebrare nelle crisi di questo sistema una parousia dello Straniero, che richiama le donne lontano dalle città e confonde le angosciate sicurezze del potere. Il Grande Pan è morto, possiamo coglierlo solo nei frammenti, nelle rovine, nelle persistenze sfigurate. Il Dioniso pre-acquariano dovrebbe forse essere carnevalesco, funebre, eccessivo, un fiorire di happenings apocalittici?

Se manca "l'elemento ebbro-vegetativo" e quello "ctonio" (G. Zacharias), ovvero se "il Grande Pan è morto" (o non è mai nato), il dionisiaco tende a manifestarsi come infrazione gnostico-esoterica. Il dionisiasta lascia che l'ebbrezza l'accompagni ad una coscienza di confine, ad una esperienza di trasfigurazione sulla soglia fra i vari regni della natura – una sorta di Regno Messianico ma non conquistato con un'ascesa (e un'ascesi), bensì lasciandosi sedurre, abbandonandosi.

Il duende sale interiormente dalla pianta dei piedi (come il ch'i taoista), non viene da fuori come l'angelo e la musa, va risvegliato dalle stanze oscure del sangue. Apre la ferita, vive sul suo bordo, e solo lui la guarisce.

Affinità e differenze tra Dioniso ed Hermes. Hermes dio dei confini, dei crocicchi, del tertium come traghettamento incessante, come erm-eneutica: dio polymetis, della saggezza che elude il dilemma, che irretisce e trova mechanai; dio dell'esoterismo, dell'iniziazione che fa uscire dal grex, dalla magia sociale. Dio dei crepuscoli, ladro, truffatore, ipocrita. Anche Dioniso è ipocrita: ma piuttosto nel gesto, nel drama; dio del pathos, dei confini sperimentati in sé, della liminarità trasognata, dello strazio e della ferita (che può alludere ad una mechanè ermetica, l'aporia come 'apertura' a dimensioni ulteriori), del lutto e della risata; se Hermes rende versuti, ricchi di sale, psico-logici, Dioniso rende attori, ricchi di succo, hygroi, sul fondo fluido e sdrucciolevole della valle del fare-anima.
Dioniso porge Hermes, Hermes porge Dioniso. Apollo è Dionysodote, ricompone Dioniso smembrato, Dioniso è congiunto ad Apollo.

Vino e melancolia nello pseudo-Aristotele: la droga dionisiaca come l'umore oscuro legato a ghè e chthon, Dioniso come Hades. Se temperati, danno la complessione eroica, geniale. La bevanda fermentata, sacramento con cui si assimila l'universo (vedi Crisippo, una goccia di vino, il pyr phronimon, è diffusa nel cosmo), è succo vegetale, acqua lunare da cui sprizza il fuoco alcoolico. Luce oscura, fiume del Lethe: oblio del passato che fa discendere le anime dalla luna, attraverso la porta degli inferi o Cancro, le fa sorgere ignoranti come il puer, Zagreo, Krshna, astorico, aion che gioca. Le nozze di Dioniso e Arianna: la Signora infera delle anime, abbandonata dall'apollineo Teseo, l'eroe, riceve nel suo lutto e nella sua attesa, in mezzo al mare, il dio della zoè, della trasmutazione lunare, vegetale-animale, il puer aeternus.

Il fermento dionisiaco, quando irrompe nel sogno della storia, è il massimo dell'ambiguità, intossica e sollecita all'iniziazione: può manifestarsi come il tumulto della rivolta, con la sua sospensione esaltante e accecante dei limiti morali e politici, o come lo Streben superomistico di Alessandro, Achille infelice, sovrano cosmico infelice, ipnotizzato dall'illimitatezza dello spazio terrestre; o di Nerone e di al-Hakim, semidei folli, lievi e micidiali, che cercano con il popolo un rapporto immediato, di isterica partecipazione. Il potus deorum, il vino che illumina e allieta gli dei, quando si fa potus animarum, vincolo oscuro delle anime, chiede la morte, la putrefactio, che può lievitare in rigenerazione solo attraverso il contenimento del rito, a cui Dioniso è incline con la sua stessa pastosa umidità: è il dio della follia rituale o telestica, secondo Platone, e a differenza di Zeus, l'avventuroso Padre degli Dei, lui, l'effeminato, il bisessuale, conosce un solo legame nuziale, quello con Arianna, l'abbandonata.

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