Fechner: il
feto si identifica con il grembo materno, crede che quello sia il suo corpo, mentre
il corpo che plasma insieme a quello
materno nei nove mesi della gestazione lo sente come propria opera, propria vita che si condensa e si
stacca da lui. Così l’uomo terrestre si identifica con il corpo terrestre,
parte del corpo cosmico visibile, mentre il corpo sottile è quello che
costruisce invisibilmente con la propria volontà, fede, conoscenza,
immaginazione. Percezione oscura, confusa di questo ‘corpo nuovo’: fluttua, va
e viene, non può essere identificato, conosciuto direttamente, oggettivamente,
si mostra attraverso segni, sogni, segnature, presagi, riflessi. Lo si tesse
appunto nell’oscurità della fede, passo dopo passo, restringendo la volontà al voto spirituale, al momento presente.
Oltre la morte c’è maggiore presenza, lo statuto del ‘morto’ è quello del
ricordo (Fechner) e del sogno-immagine: più vicino al cuore, all’interiorità,
al desiderio fondamentale, più ‘fissato’ e ‘condensato’.
Quel che
dobbiamo chiederci è: cosa viene meno quando viene meno il cervello e, in
generale, quando si dissolve la compagine senziente del corpo umano visibile?
Se l’esistenza terrestre è una vicenda di veglia e sonno (con e senza sogni),
con la morte si accede forse a un sonno più profondo (una sorta di assorbimento
meditativo, di samadhi, di
abbacinamento del nous) che però al
contempo libera il deposito di memoria immaginativa, il corpo di sogno o
sottile, per così dire dall’interno, rendendolo meno condizionato dagli organi
dell’esistenza visibile (e dunque in un certo senso meno ‘individuale’) ma
quindi, simultaneamente, più ‘se stesso’ e più ‘personale’? Vivere nell’immagine che abbiamo plasmato è
forse qualcosa di cui si hanno pegni e presagi quando, durante il transito
terrestre, si vive in una storia immaginata, in un personaggio della fantasia
che non è noi ed è più noi di noi stessi? Qualcosa di simile alla generazione
di un figlio, ad una creazione che non è però un’autocreazione in senso egoico,
ma una sorta di ritrovamento di sé in altro, in un’altra materia, in un altro
ricettacolo, con un capovolgimento di prospettiva? Più probabile che questo
capovolgimento, questa alterazione sia il sentimento che accompagna la morte in
quanto ‘riduzione all’essere’ (Schelling), e dunque sia dovuto al cadere di
identificazioni illusorie, ad un maggiore assorbimento nel vero. Morire (la
morte definitiva dell’organismo psicofisico, le molteplici morti nel tempo) è
lasciarsi ricreare, nella nuda e oscura certezza che noi stessi non saremo annientati, ma proprio mentre e perché si
sperimenta come annientamento la perdita delle identificazioni terrestri.
Angelomorfosi:
il rapporto con il proprio sé immaginale è il rapporto con l’angelo, nel cui
specchio vediamo il nostro vero volto. Morire è passare al di là della
superficie dello specchio, divenire ricordo della Terra e dunque fiore, pianta,
come Narciso.
Ancora
Fechner: forse esistono diverse soglie di coscienza; diversi gradi di
differenziazione, dalla veglia terrestre, in cui la coscienza separata opera
una trasformazione progressiva, un’assimilazione nel tempo e nello spazio
terrestri; al sogno dell’anima come memoria del cosmo, identità angelica,
paragonabile a forme di coscienza più basse di quella umana terrestre (ad
esempio quella vegetale), ma di fatto più e non meno cosciente, più libera di
associarsi e trasmutarsi come i ricordi sono più plastici e al contempo più
‘fissi’ delle sensazioni concrete; al ‘sonno’ dell’eternità, che però è di
fatto unità pulsante e viva dei molteplici, punto intorno al quale la coscienza
angelica danza in molteplicità-unità (Dante) e ‘luogo’ di ogni coscienza, fonte
e tronco da cui ogni coscienza trae la propria vita limitata ma presente alla
totalità (l’idea leibniziana-ermetica di pars totalis).
Il sale fisso delle ossa,
presente nelle ceneri della cremazione o nei liquami della putrefazione, è
paragonabile al nucleo neutro, alcalino, mentre lo spirito volatile è
paragonabile agli elettroni negativi. Quest’ultimo è la madre, il ricettacolo
organico, acquoso, nato dall’attrazione del nutrimento da parte del punto
igneo, formativo, presente nel sale-seme stesso. Monade di Leibniz, tema della
palingenesi artificiale come prova e primizia di quella naturale-divina, della
resurrezione dei corpi (A. Boella e A. Galli): il sale fisso disegna la forma
dell’individuo – distrutto in quanto misto – in una materia diversa, più
semplice e pura. Disperso nella terra, nutre le piante, che poi diventano
nutrimento di animali e uomini: la trasmigrazione è legata al fatto che, con la
morte del composto, intesa come dissoluzione, il suo residuo fisso,
corporeo-spirituale, entra in un rapporto più intimo e diretto con le altre
individualità terrestri, manifestando in modo operativamente più distinto il panta en pasin, l’interdipendenza di
tutto. Così, non potendo non nutrirci di anime, corporificate nei loro sali,
poiché plasmiamo il nostro corpo e la nostra psiche con il nutrimento, di fatto
operiamo una assimilazione continua, integrando in noi non solo le anime
vegetali e animali ma anche quelle umane. L’eucaristia rende più consapevole,
concentrata ed efficace questa perpetua alchimia del nutrimento.
Benveniste: nell’acqua, elemento
in cui avvengono tutti i processi della vita, le forme delle sostanze
permangono, attraverso le diluizioni, come onde magnetiche,
vibrazioni-frequenze che suscitano risonanze adeguate nelle altre sostanze. Le
forme come vibrazione, musica, logos: Schneider ha scoperto che per i popoli
arcaici lo stato primordiale del mondo è quello acustico, ancora invisibile, ma
carico di tutti i semi della visibilità.
La coscienza cerebrale è un
riflesso lunare della contemplazione cardiaca, solare. Come la luna, però, dà
al fuoco solare un veicolo umido, di cui si libererà alla morte passando per la
porta della Luna o dei Manes, da dove potrà risalire alla patria, al Sole. Il
cuore è il nucleo immaginativo, formativo: congiungendosi con la coscienza
cerebrale riflessa, con la rappresentazione continua, passiva del mondo, genera
l’embrione d’oro, il veicolo luminoso, corporeo-spirituale, che oltre la soglia
della morte ovvero del tempo lineare diventa il sé angelico, l’alter ego o
figlio o doppio da cui di solito ci separa lo specchio della coscienza
terrestre. L’uomo ordinario si dissolve nei suoi componenti, la sua parte
solare ritorna al sole non individuata, come il talento della parabola viene
affidata a un altro, ritorna come un altro destino. L’uomo divinizzato,
angelicato, diventa re, membro dell’Uomo Perfetto, uno nell’Unico, partecipa
attivamente alla vita divina: la morte seconda non gli fa male, non lo
distrugge, anzi lo fissa, lo sala, come un vetro, un cristallo (coranicamente è
il simbolo dell’immaginazione, della sua trasparenza teofanica. Si va dallo
specchio, che ha un lato oscuro – qui, nell’esistenza terrestre, vediamo per speculum, cogliamo riflessi
rappresentativi nel cervello, vediamo il Sé come angelo fuori di noi – alla
diafanità del cristallo, che si lascia attraversare dalla luce non in modo
passivo, ma magnetico, come acqua fissa, vita coagulata).
Secondo H. Larcher, l’alchimia
‘interna’ potrebbe essere la congiunzione del sangue mercuriale con il midollo
osseo, l’olio o grasso che contiene il fuoco, il sale sulfureo. L’uomo che,
nutrendosi di etere corporificato, ricostituisce la propria integrità adamica,
espellendo il fermento della corruzione, o piuttosto trasformandolo, diventa un
immortale, accede alla soglia dei mondi: il suo veicolo sottile, il suo ochema, diventa il carro di fuoco di
Elia, il fuoco non lo consuma ma lo fissa, lo preserva.
Nessun commento:
Posta un commento