Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



giovedì 8 marzo 2012

Scarabocchi quaresimali



Sottoponendo alla consueta deformazione creativa il testo scritturale – del resto già deformato e conformato dalla tradizione e quasi sfigurato, a volte, dal greco spontaneamente allegorizzante dei Settanta – i Padri dell’ascesi ovvero della psicologia cristiana hanno letto in Dt 32,33 che l’ira (thymos) è vino dei draghi. Il sangue del Drago precosmico, Tiamat, viene utilizzato nella cosmogenesi dal Dio-Demiurgo, Marduk: il veleno inerente al caos, alla pura potenzialità (che resiste passivamente al pensiero creatore), viene trasmutato, con violenza e sagacia, in materia e sostanza del mondo. Così l’alchimista, nella sua miniatura di cosmogenesi (e palingenesi), trae dal Drago l’essenza tossica e pericolosa, il sangue corrosivo e volatile, e lo volge in Acqua di Vita, Latte della Vergine, materia filosofica, chiarezza e nutrimento (il Drago custodisce la Vergine – dentro di sé: la Vergine è l’esoterico del Drago, ovvero il Drago è l’ombra mortale della Vergine). Se l’ira, essenza passionale del diabolico, dell’infernale, è vino che inebria il drago e suo sangue, e se sangue e vino sono sotto il segno di Gevurah, del Rigore implacabile, come il Male stesso – allora c’è nell’ira un’acqua (simbolo di Hesed, la Grazia), un latte di consapevolezza, un sostrato fecondo e quieto, che va estratto, portato alla luce e ulteriormente lavorato. Isacco il Siro suggerisce che l’ira – il male – nasce dal gettare il dolore all’esterno, dal non sapere che si dispone di uno spazio interiore per portarlo: il dolore, uscito dal vaso dell’opus, energicamente fluito, schizzato sull’altro, sugli altri, diventa ira, diabolicità (quindi lacerazione e letteralismo); e specularmente l’ira, che stringe i legami con il mondo condizionato, il male di vivere continuamente scagliato, proiettato all’esterno, se rientra nel vaso, se viene portata, assunta, accolta (cioè al contempo uccisa e tenuta in grembo), diventa quella stoffa di cui è fatto il sogno della trasmutazione, la luce materiata, la materia sottile della coscienza immaginale da cui nascerà il filius philosophorum, telos dell’universo, dunque anche (soprattutto) del Drago.  

I tre porcellini. Le tre potenze o livelli dell’anima incarnata (porco). Si costruiscono tre case, tre veicoli o corpi: il primo – epithymetikon – di paglia, ovvero di esperienze irrelate, slegate, che volano via al primo soffio del tempo-lupo; il secondo – thymikon – di legna, di sentimenti naturali, legati assieme dalla memoria; il terzo – logikon – di pietra, ovvero un veicolo di immaginazione fissata, squadrata, tagliata. Nel momento del peirasmos le due potenze inferiori si rifugiano nella rocca della terza o prima: tuttavia il lupo può penetrare anche lì, attraverso il camino – mischiato con l’aria dei pensieri, furtivo invece che violento. Allora il logikon ingiunge alle due potenze passionali di accendere il loro fuoco per bruciare il culo al lupo, e infine di bastonarlo a morte o fino a farlo fuggire.
Lupo, diabolos, entropia: lo Stige, l’Odio-Orrore su cui giurano gli dei. (Neikos in quanto istinto di morte è ‘necessario’ perché continuamente divora il visibile-tangibile, la manifestazione terrestre, impedendone la fissazione immatura, idolatrica, e rendendo possibile la trasmutazione, la sintropia come autotrascendimento ininterrotto. Vedi Eliade sui citta-vritti). Il lupo è Apollo, il sole e l’Uno nel suo aspetto distruttore.

Il brutto anatroccolo. Non va inteso come lo pneumatico, lo gnostico nel senso del destino raro, eletto, ma come l’uomo in seno alla natura o lo spirito in seno alla natura. L’anatra è la prakriti, la physis, i figli sono le sue manifestazioni. Il brutto anatroccolo è lo spirito, la consapevolezza spirituale nascente, confusa con le altre manifestazioni della prakriti e fatta oggetto di disprezzo perché goffa, inadeguata etc. (i segni della vocazione spirituale, sciamanica – la malattia, l’incapacità di incastrarsi in un piano dharmico preciso etc. Il cigno – hamsa – è lo jivanmukta, che è al di sopra dei varna come il candala è al di sotto).

Avram (1999)



Questo breve racconto del 1999 è stato pubblicato nel 2000 dalla rivista Nuova Umanità e nel 2002 all’interno della silloge Falene scottate (Edizioni Orient-Express). Lo si ripubblica oggi perché tredici anni sono un ciclo, un eone, un nuovo avvitarsi della spirale nella forma beatifica e orrifica del cerchio.


http://www.scribd.com/timurilang/d/84363422-articolo22179

lunedì 5 marzo 2012

Sonetto per un’apparizione di Khidr



Come la fiamma viola la dolcezza
triste del grumo che in miniera giace
e lo sfida all’oblio, alla grave ebbrezza
di conoscersi in forma che dispiace,

così volontà e stella a nuova pace
strisciano aggrovigliate con doppiezza
di vipere, con fede attenta e audace
di tortore straziate di gaiezza.

Gioco e tortura stringono l’abbraccio:
del nemico la prensile pupilla
inghiotte, rovesciandolo, il tuo cielo

e te lo rende. Un fremito di velo
è la tua gloria. Corre la scintilla
lungo il fragile vetro del matraccio.

domenica 4 marzo 2012

Dialoghetto erotico cantabile



Disse il Profeta – che Dio l’abbia in gloria:
“Chi brama e tace e in segreto ne muore
sia consegnato alla vostra memoria
tra i dolci santi perduti d’amore”.

Platone disse: “D’accordo, ismaelita,
ma il mio maestro, mammana versuta,
traeva i vivi a più libera vita
di parto in parto, di muta in muta.

Dava alla luce i destini sepolti
con aspro forcipe e morbide mani:
l’occhio taurino sfidava i bei volti
ad ebbra mimesi di sovrumani;

la ciarla aguzza ed inquisitoria
ti trafiggeva, ed intanto era nata
dal grembo umido della memoria
una parola dimenticata.

Ti seduceva e ti abbandonava:
non ti era padre, né amico, né niente;
vestito a nozze, nell’anima cava
stavi perfetto, deluso e fremente”.

Disse il Profeta: “O greco insidioso,
di questo amore hai parlato abbastanza.
Solo e spezzato, smarrito e glorioso
passa l’amante in perpetua doglianza:

perché tra l’anima ed il Beneamato
tremano al vento miriadi di veli;
ed ogni velo è un muro sfiorato
dall’alta febbre di tempie fedeli”.

Sorrise il greco: “Scorrendo il recinto
la mano cerca il maestro sparito;
ma già la sua per i piedi t’ha avvinto
aprendo il petto al suo primo vagito”.