Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



martedì 11 febbraio 2014

Addito salis grano


Importanza dell'allenamento della fantasia veicolato dal linguaggio. La parola stress indicava il logorio dei metalli durante la lavorazione industriale: si parlava anche di "logorio di nervi", "esaurimento nervoso", espressioni emerse dal tohu wa-vohu del tardo Ottocento, positivistico e occultistico in uno; e la suggestione fantastica che le ha generate sopravvive nella maggior parte di noi. Ma se io dicessi: "stamattina sono andato a lavorare in automobile e la mia immaginazione si è riempita di detriti e cartacce", la prospettiva muterebbe in modo radicale. Anch'io sono in grado di ripulire decentemente la stanza, il palazzo o il campo dell'immaginazione: ma per rafforzare, rammendare o riforgiare un filo metallico o un nervo logorato ho bisogno di chiamare un esperto.

Se ritualizzassimo le azioni quotidiane, l'oscurità della nevrosi, ingannata, diventerebbe l'oscurità del rito, che è feconda e germinale come quella terrestre. Ovviamente il rito dovrebbe custodire una scintilla di consapevolezza dell'atto nella sua specificità: sedersi al computer, collegarsi alla Rete mondiale non è come sedersi alla macchina per scrivere o scegliere un libro sugli scaffali di una biblioteca. Piuttosto, è qualcosa come porsi di fronte ad uno specchio magico: e nessun operatore ermetico, stregone di villaggio o regina malvagia resterebbe dodici ore con gli occhi piantati nello spazio sospeso ed enigmatico cui si accede lasciando che la superficie riflettente si animi. Il rito ci offrirebbe così, com'è suo perpetuo ufficio, equilibrio e finezza, senso e intuizione delle proporzioni, fluidità e potenza.

Dovrebbe essere semplice fare di un sodalizio umano, di una lega ideale, che mette in comune intenzioni, pensieri, sentimenti – qualcosa di affine a un ordine cavalleresco o religioso: basterebbe prendere sul serio tutto ciò che l'associazione implica, in linea di principio e nei particolari quotidiani, imprevedibili, fluttuanti, e non nel senso della gravità orgogliosa, saturnina, raggelante, ma del serie ludere antico. Le regole di un gioco sono talmente trasparenti e densamente simboliche al contempo che quasi non si può non tendere più o meno lucidamente alla cavalleria, alla confraternita: le volontà confluiscono nell'unità impersonale eppure riescono esaltate nella loro individualità; le immagini iniziano a circolare, diventano efficaci, i segni fioriscono come in una primavera di incontri amorosi tra il destino e l'azzardo, i pensieri sorgono spontaneamente corposi e infuocati, un eros inatteso dai singoli spunta al centro del circolo come l'albero della conoscenza del bene e del male, offre droghe e nutrimento e solo l'attenzione costante al rito, al setting, al corpo delle relazioni riconduce ogni volta le passioni alla loro matrice immacolata – anche se non è sempre certo che sia davvero propizio per il più alto fine dell'ordine.

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