Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



martedì 2 novembre 2010

Discorso nel deserto


Andiamo, amici, impariamo
l’amore dalle pietre.
Qualcuno
mi obietterà che, piuttosto, le calme
nella loro durezza indifferente
fanno da degno simbolo all’amore
che nutrì per un giorno lo spettrale
angelo aptero abbarbicato
sulle mura di Sodoma
il mio è il mio e il tuo è tuo, questo
secondo i rabbini il suo motto –:
guardate
meglio, cioè amate (proviamoci)
di più. Chi luce di una così segreta,
temprata carità come quei sassi
che calpestate senza rossore,
e a volontà potete spostare
e incidere e rompere e rifare
con le mani di Adamo o di Caino?
E non cadiamo ancora in tentazione
dicendo che sì, è vero, la figurano
l’umiltà, ma perché per natura
non libere, non perché liberamente
servitrici di tutto in obbedienza
a chi tutto sostiene sul suo seno
– e a fortiori non sanno portare, quasi
più neanche figurano il frutto
della croce, l’amore, non è così?
Andiamo, amici, guardiamo,
tocchiamo i veri poveri, gustiamo
le gocce del loro miele, più antico
della manna e più celeste. Non siamo
degni: almeno spogliamoci
di un inutile velo, di una pelle
spessa e morta, che il Progenitore
non impacciava ancora.
Come può non essere in origine
libera la creatura di un Amante?
E se il moto ricevere da altro,
da fuori di sé ci appare, cosa
e non membro del Figlio dell’Uomo,
non viva pietra intagliata per la
Gerusalemme cui ci ha fidanzato,
ma inerte vestigio del giorno
originale in cui tutto parlava
a tutto, solo immagine – è certo
nel cuore, come noi parlanti adesso
siamo muti e attendiamo morendo
in un’azzima pasta ancora crudi
la nostra vita, così il loro fuoco
attende con il nostro, nel silenzio
amoroso prega, un lento salmo
di pietra, liscio di quiete
e ritegno, puntuto di dolore, o irto
di rughe e schegge che ancora domandano
nella speranza, da quel giorno, il Giorno.

Andiamo, amici,
impariamo.

- Febbraio 2003 –


NOTA:

Il mio è il mio e il tuo è tuo: nel trattato talmudico Avòth è scritto che questa è la condotta [misura, middàh] mediana [la mesotes, o lo jus]; e tuttavia c’è chi dice che è la condotta di Sodoma (a questo punto un commentatore cita Ezechiele 16,49 e dice che i sodomiti “non pretendevano nulla dagli altri uomini, ma non tolleravano che un povero potesse beneficiare delle loro ricchezze”). Nel medesimo testo si parla anche della condotta del santo: Il mio è tuo e il tuo è tuo.

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