Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



domenica 16 ottobre 2011

Ballata del suicida imperfetto


a Gianna che, come me, non capisce i suicidi

Questo cappio è una porta: ma la stanza

cui mi introduce è un carcere più vasto.

Da solo non potrò darmi quietanza,

né caricare un altro del mio basto.

Non c’è iato tra il mondo e il cimitero:

voglio morire, ma morir davvero.


"Io sono il punto!": un punto complicato

tra i molteplici incroci del tappeto.

Se cancello il mio mondo, l’altro lato

mi attende imperturbabile, né lieto

né triste, come quando ancor non ero.

Voglio morire, ma morir davvero.


Chi soffre molto pesa sé e l’ignoto,

e alla bilancia resta crocifisso.

Chi soffre immensamente sa che il moto

d’ogni granulo come stella è fisso:

e si consuma lento, come un cero.

Voglio morire, ma morir davvero.


Non ho forza per correre o per stare,

per agire o patire: ma ne ho troppa

per ricadere in me, o così mi pare.

La chiave guata il buco della toppa

alla distanza esatta di un pensiero.

Voglio morire, ma morir davvero.


Giobbe rinacque quando sulle merde

vide Behemòt nel turbine di Dio.

Il ribelle si placa quando perde:

resta la bolla di sapone, l’io,

trafitta dalla luce sul sentiero.

Voglio morire, ma morir davvero.


Noi bandiamo la merda, e l’idumeo

nulla vedrebbe sopra i nostri cessi,

tranne un biancore un po’ paranoideo.

Sono privati tutti i nostri eccessi,

è recita il tormento più sincero.

Voglio morire, ma morir davvero.


Dunque, che fare? si chiedeva il russo.

Niente, risponde – e ride – l’orientale.

Contemplo il cappio, mia porta, e non busso.

Nella cella c’è tutto il bene e il male:

da un forame mi occhieggia il mondo intero.

Voglio morire, ma morir davvero.

Note pedanti

v. 31: “l’idumeo” è Giobbe, che non era un ebreo ma un ricco gentile di Uz (a est dell’antico territorio israelita e a sud di Damasco).

v. 37: “il russo” (con apporti tatari, ebrei ashkenaziti e svedesi) è Lenin, che pubblicò nel 1902, a Stoccarda, il celebre opuscolo intitolato Che fare?

2 commenti:

  1. ... niente - ehehe - molto bella , grazie

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  2. Grazie, Anonimo. Ci sento bene una melodia celtica cupa e folleggiante al tempo stesso

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