Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



giovedì 25 settembre 2014

Into the light of the dark black night




“E la paura di voi (mora’a-kem) e il terrore di voi (hit-kem) sia su tutti i viventi della terra” (Genesi 9,2). La lettura più facile, che si impone, vede nel suffisso un genitivo oggettivo: la paura nei vostri confronti. Ma è lecito scorgervi, in controluce, anche il genitivo soggettivo: la vostra paura. Proiettate la vostra paura e il vostro terrore su ogni vita della terra: lo spavento del destarsi originario e quello del battesimo-diluvio prendano i viventi, gli animali in particolare, come sostituti; siano sacrificati, il vostro timore e tremore, nel loro sacrificio, nella loro morte-oblazione, nel loro assassinio sacro. Be-yad-kem nittanu: sono dati nella vostra mano – in vostro potere; gli altri viventi staranno all’uomo come l’uomo a Dio. L’ebbrezza del dominio è chiamata ad essere sorso di soma brahmanico: queste mani di sacerdote pesano come macigni per l’angoscia della bilancia cultuale, in cui il sacrificato è, en principe, il sacrificatore stesso (con il suo angst archetipico: sacrificium Deo spiritus contribulatus…).

Ipotesi. L’alchimista attende al nei-dan, alla trasmutazione del proprio corpo sottile, mentre prepara, con procedimenti via via corrispondenti, sostanze in grado a) di operare trasmutazioni e palingenesi nei regni naturali b) di integrare come rimedi-medicine l’opus diretto all’estrazione, esaltazione e compimento del corpo spirituale immortale. Ora et labora.

L’occulto furore di melancholia sradica e inghiotte, nel suo turbine polveroso, ogni malcerta proprietà, ogni cosa nominata. Sulla sua frontiera tra finito e infinito, valle di apocalisse senza troni e bilance all’orizzonte, il pensiero e l’atto della libertà sono sfigurati e contratti: l’io persiste in un incubo di dominio astratto, tirannide esemplare, e le membrane del suo respiro sbattono contro pareti di tana franata. L’illusione della continuità celebra il suo trionfo paradossale in questa ancor più illusoria discontinuità del vivere. Pregare, dunque lavorare, diventa quasi impossibile: solo la prigione di una regola, ospedale o cenobio, può far fiorire in questo carcere di vento l’agonia perfetta, dove il logos separa anima e spirito in una notte di germinazioni vegetali, profetiche, armonia di contrari. Nella diaspora del mondo, dove è necessario recitare l’autonomia dell’adulto, ovvero dell’iniziato, le torture mentali di melancholia sono di rado inclini a maturare nelle doglie del parto di Minerva – la plane si distende in cicli deformi, che torcono le giunture e i legamenti della memoria. Anche così il buio irrita il sonno dei semi, ma alla muta monastica, adolescenza finalmente saziata dal limite, risponde, qui, un lungo e troppo tollerabile massacro lunare.

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