Mi è giunta voce, sovrano beato, che un giorno il
governatore di Bassora, Sanad al-Dawla al-Habashi – che Dio sia soddisfatto di
lui – uomo giusto e sapiente, tornava da una gita con i suoi amici e garzoni
sul fiume Tigri, quando il suo segretario, uno zoroastriano di Nishapur che si
era sottomesso a Dio da qualche anno, gli recò una lettera sigillata con della cera
rossa e un lungo nastro bianco e blu. Sanad al-Dawla entrò nella sala del
consiglio, mandò a chiamare i suoi ministri più fidati e alla loro presenza
ruppe il sigillo e lesse la lettera. C'era scritto: "Abu Baraka ibn Yusuf
di Homs al nobile Sanad al-Dawla, governatore sereno e impeccabile della famosa
Bassora – possa Dio rendere durevole il tuo prestigio e la tua potenza! Quanto
al resto: sappi, mio dotto e opulento signore, che stai tenendo tra le mani e
leggendo il testamento di un umile ebreo molto versato nelle scienze occulte;
il tuo servo indegno ha trascorso la sua lunga e miserabile vita studiando le
arti della magia e dell'alchimia, la dottrina delle lettere e la geomanzia, la
musica e la medicina. A questo fine ha accumulato centomila libri da ogni paese
dei sette climi, in ebraico, arabo, persiano, cinese, turco e nelle lingue dei
franchi. Otto giorni fa un angelo di Dio mi è apparso in sogno con una spada
fiammeggiante nella destra e un cartiglio bagnato nella sinistra. Dopo averlo
debitamente onorato gli ho detto: 'Comprendo bene, osservando la spada, che la
mia ora è prossima. Ma ti prego di spiegarmi il significato del cartiglio
bagnato'. Il messaggero, velato con una tunica rossa per rendersi visibile ai
miei occhi consumati dalle veglie, mi ha risposto: 'Dici bene, Abu Baraka ibn
Yusuf, tra nove giorni mi incontrerai di nuovo nella tomba. Ti ordino di
lasciare i tuoi beni immobili al tuo figlio maschio, i tuoi beni mobili al
Comandante dei Credenti e i tuoi centomila libri a Sanad al-Dawla al-Habashi'.
E io: 'Non conosco quest'uomo'. L'angelo mi informò: 'È il governatore sereno e
impeccabile della famosa città di Bassora. Ma ora sbrigati a ubbidirmi, perché
la candela è quasi spenta e il Giudice dei Mondi non dorme e non concede
dilazioni. Ogni lode e ogni grazia appartengono a Dio: prendi rifugio in lui,
l'Altissimo, se egli lo vuole'. Così, dunque, giusto e sapiente tra gli
ismaeliti, accetta il lascito dell'ebreo di Homs. Vi sono libri di storia, di
geografia, di diritto, di scienze occulte, poesie, racconti, favole ed errori
del Tempo dell'Ignoranza, trattati sui semplici e le gemme, volumi di
astrologia più antichi di Tolomeo, rilegati in oro e argento, miniati con arte
squisita dai discepoli di Mani il Pittore – che Dio abbia misericordia di lui –
che hanno usato cinabro delle isole della Cina e turchesi delle terre dove non
si conosce il fuoco. Tra i centomila libri, costituiti da quattro milioni di
pagine, vi sono cinque fogli in cui è messo per iscritto l'arcano per
fabbricare la Pietra dei Saggi. Cercali, e sii glorioso e felice. Dio è il
Generoso e il Sottile". Non appena ebbe terminato la lettura il
governatore congedò tutti i suoi ministri, tranne il suo consigliere ed amico
fedele Yuhanna ibn Abruqlus, un nestoriano dei dintorni di Harran – che Dio sia
soddisfatto di lui. Questi gli disse senza ambagi: "Mio signore, non puoi
che accettare il lascito dell'ebreo di Homs. Se quel scrive è vero, sarai il
più sapiente degli uomini; e se non lo è, avrai la più splendida delle biblioteche
senza pagare un dirham". Così Sanad al-Dawla mandò a dire che come delato
acconsentiva ad entrare in possesso di quella parte dell'eredità di Abu Baraka
di Homs: e una settimana dopo arrivarono al suo palazzo mille servi con duemila
muli e altrettanti scrigni di legno e di cuoio, in ognuno dei quali c'erano
cinquanta libri. Per accogliere la biblioteca si dovettero sgombrare le due
torri dell'armeria, e occupare decine di dotti della Gente del Libro
provenienti da ogni provincia nell'archiviazione dei volumi. Dopo quattordici
mesi di lavori il governatore poté dedicarsi alla ricerca dell'arcano, secondo
la promessa dell'ebreo, ma si rese conto ben presto che era un'impresa
disperata: conosceva sette lingue ed era un dotto nelle scienze essoteriche ed
esoteriche, ma i libri erano scritti in almeno trecento lingue, e più della
metà di essi verteva su discipline talmente occulte che nessun maestro nel
tasawwuf, alchimista, necromante, ciarlatano o indovino interrogato dal
governatore – con blandizie o tormenti – confessò di averne notizia. Il
ministro Yuhanna gli consigliò di usare un mago per trovare i fogli, come si
trova una vena d'acqua con una bacchetta di legno; fu chiamato il più famoso,
un sabeo, che bruciava offerte agli idoli pagani e adorava la volta stellata –
possa Dio l'Altissimo abbattere gli iniqui e gli associatori! L'uomo si prostrò
davanti a Sanad al-Dawla e gli disse: "Mio signore, ascolto e obbedisco.
Ma non posso trovare lo scritto se non so già di cosa parla: e in questo caso,
non avresti bisogno di cercare". Il governatore batté i piedi per l'ira,
ma si placò subito e rispose: "Quest'uomo ha ragione. Saprò trovare i
cinque fogli solo quando sarò in grado di interpretarli". Il mago fu
congedato, e Sanad al-Dawla decise di dividere in due le sue giornate: al
mattino avrebbe studiato gli enigmi dei saggi figli di Hermes, di sera avrebbe
cercato tra i libri, aiutato da centocinquantatrè paggi.
In quel periodo uno dei fratelli bastardi del governatore,
il bandito Husayn Sayf al-din detto l'Eunuco – che Dio abbia misericordia di
lui – stava addestrando il suo esercito di mercenari sarmati e circassi per
attaccare Bassora alla fine dell'inverno. Molte spie informarono
tempestivamente il governatore, ma questi era così assorbito nella sua ricerca da
prestare ben poca attenzione ai ragguagli allarmati e alle lettere
circostanziate che lo raggiungevano con cadenza crescente.
E l'alba raggiunse Shahrazad, ed ella interruppe il dire
consentito.
Si racconta, sovrano beato, che il Comandante dei Credenti –
che Dio sia soddisfatto di lui –, informato della mancanza di energia di Sanad
al-Dawla contro suo fratello l'Eunuco, gli inviò un corriere sogdiano con una
lettera triplicemente sigillata. Il servo fidato del governatore, il ministro
Yuhanna ibn Abruqlus, gliela lesse mentre era impegnato, come suo solito, a
decifrare gli scritti dei sapienti e gli enigmi degli antichi nella sua
biblioteca: conteneva parole di fuoco, che richiamavano il governatore di
Bassora ai suoi doveri civili e militari. Sanad al-Dawla dettò con indolenza
una missiva in cui riferiva al suo signore la storia del sogno dell'ebreo di
Homs, per filo e per segno, e la fece consegnare al corriere sogdiano. Dopo
pochi giorni questi tornò con un biglietto privo di sigilli, vergato dalla mano
stessa del Comandante dei Credenti; e diceva: "Se non respingerai l'Eunuco
usurpatore con il debito vigore e l'opportuno studio, sarai crocifisso al
soprassoglio della Porta del Desiderio; se troverai il modo per fare la Pietra
dei Saggi, potrai salvare te stesso e il tuo popolo in ogni caso. Dio è Colui
che dà la vita e la morte".
Così, all'equinozio di primavera, quando per volontà di Dio
i giorni si allungarono e le notti si abbreviarono, e i giusti erano grati di
poter lodare più volte il Creatore alla luce del suo luminare maggiore, il
governatore di Bassora era lieto di avere qualche ora in più per leggere senza
logorarsi gli occhi, e il bastardo si rallegrava perché il tempo delle armi e
della vendetta era ormai giunto. Quando attaccò la città con il suo esercito di
mercenari, i ministri del governatore, atterriti per la sua indifferenza, si
precipitarono dal nestoriano per chiedergli consiglio, poiché sapevano bene
quanto fosse penetrante nei giudizi e folgorante nell'azione, e in quanta stima
lo tenesse il signore. Ma il consigliere rispose: "Amici miei, modello di
sapienza e rettitudine, non oso prendere decisioni al posto del governatore: se
lo facessi, non sarei migliore dell'usurpatore bastardo che sta cingendo
d'assedio le mura robuste di Bassora famosa. Ma non vi negherò un consiglio:
ponete la stessa domanda al segretario del nostro signore, Muhammad ibn
al-Katib, che in giovinezza adorava il fuoco con gli associatori". I
ministri implorarono il nestoriano più e più volte, perché non volevano andare
ad umiliarsi dal persiano, che nessuno stimava degno di fede: ma l'uomo restò
fermo nel suo proposito e rinnovò il consiglio. Allora gli anziani servi del
governatore si rassegnarono e mandarono a chiamare Muhammad ibn al-Katib, che
in giovinezza aveva adorato il fuoco con gli associatori, quando era noto con
il nome di Bahram il Tintore. Il segretario del governatore rispose che avrebbe
salvato la città con il permesso di Dio, ma che nessuno avrebbe dovuto
chiedergli conto delle sue azioni. Poiché la situazione era disperata, i
ministri accettarono tremando. Il segretario conosceva il metodo per preparare
un fuoco celeste che bruciava gli eserciti come paglia secca e le flotte come
arbusti leggeri: si fece mandare cento schiavi greci esperti in botanica,
metallurgia e spagiria, ordinò loro di fabbricare l'arma meravigliosa e infine,
quando il fuoco fu pronto, volle che fossero tutti strangolati in segreto.
Quando le truppe dell'Eunuco iniziarono ad innalzare le macchine per l'assedio
della città, dagli otto punti cardinali furono scagliati torrenti di fuoco
simile a quello che si precipita in un istante dal cielo, afferrando ogni cosa:
e i fanti e i cavalieri, gli arcieri e i lancieri, i circassi e i sarmati, gli
slavi e i sogdiani, le armi di ferro temprato, le macchine di legno, i muli, le
salmerie, le corregge di cuoio profumato, tutto fu ridotto in cenere
nell'intervallo tra due respiri, con il permesso di Dio l'Altissimo. Mentre gli
abitanti di Bassora esultavano, un carrettiere trovò l'Eunuco nudo e ustionato
nei pressi della Porta del Desiderio: lo catturò e lo legò, e i soldati del
governatore lo chiusero in una gabbia per volpi e lo trascinarono al cospetto
del Comandante dei Credenti, che era impaziente di fargli gustare il suo
rigore.
Subito dopo il Comandante dei Credenti ricevette il
persiano, Muhammad ibn al-Katib, come un amico e un fratello, e gli chiese di
fissare una ricompensa per il suo operato. L'uomo si gettò ai piedi del califfo
e disse che non voleva nulla per sé, ma solo clemenza per il suo padrone, il
governatore Sanad al-Dawla al-Habashi. Così il Comandante dei Credenti ordinò
che Sanad al-Dawla fosse arrestato e condotto al suo cospetto per essere
giudicato. Il governatore, pur incatenato e ai piedi del califfo, non cessava di
restare assorbito nelle sue meditazioni, e non prestava attenzione alle parole
del suo signore e alla maestà della sua corte. Dopo aver esposto tutte le
accuse, e menzionato l'intercessione del segretario, il Comandante dei Credenti
concluse: "Sanad al-Dawla, dovresti essere crocifisso insieme al cane che
ha assalito la tua città, la famosa Bassora, affidata alle tue umili cure. Ma
il carissimo fratello e amico Muhammad ibn al-Katib ha chiesto clemenza per te,
e non posso né voglio negargliela. Sei dunque condannato, in primo luogo, a
veder distruggere la tua biblioteca, che ti è cara più dei diritti di Dio, dei
miei e di quelli della tua città; in secondo luogo, ad essere esiliato per
dieci anni in un luogo oscuro e deserto sui monti del Khorasan. Così ho stabilito.
Dio è il Misericordioso e il retto Giudice". Il governatore, udita la
prima parte del verdetto, cadde nella disperazione, e il mondo si fece tenebra
ai suoi occhi. Tornato a palazzo, si prostrò umilmente davanti al persiano, suo
fedele segretario e futuro governatore di Bassora, chiedendogli consiglio come
a un padre e a un maestro. L'uomo rispose: "Mio signore, le montagne
possono cadere, ma la parola del Comandante dei Credenti non cade. Un consiglio
però voglio dartelo: scegli tu stesso il modo della distruzione". Il
governatore chiese: "E quale mai?". Il segretario disse: "
Scegli il rogo, mio signore. Diceva mio padre, lo scriba, che Dio sia
soddisfatto di lui: i saggi troveranno la scintilla nella cenere e l'atomo
della vita nella corruzione del seme. Prendi rifugio in Dio, Re del Giorno del
Giudizio".
Così i centomila libri di Sanad al-Dawla al-Habashi furono
bruciati lentamente nella piazza d'armi del palazzo, mentre il governatore
mormorava, con le guance rigate di lacrime e di graffi: "Sia gloria a te,
Dio, e lode a te, e sia benedetto il tuo nome, ed esaltata la tua maestà, e non
c'è dio al di fuori di te".
E l'alba raggiunse Shahrazad, ed ella interruppe il dire
consentito.
Mi è giunta voce, sovrano beato, che prima di partire per
l'esilio sui monti del Khorasan il governatore Sanad al-Dawla chiese di
mangiare del pesce insieme alla servitù, nelle cucine del palazzo. Mentre
passeggiava tra i mucchi di carne pregiata, le spezie delle isole lontane, il
grasso, lo zucchero e i flaconi d'acqua di rose, vide cinque piccoli involti:
nel primo c'erano due pesci, nel secondo tre pesci, nel terzo erbe profumate,
nel quarto spezie tritate e nell'ultimo una presa di sale grosso. Guardando
meglio, si accorse che i fogli in cui era avvolto il cibo non erano sporchi, ma
ricoperti di scrittura ornata e di miniature preziose. Pieno di stupore, il
governatore interrogò una sguattera armena, che gli rispose a capo chino:
"Mio signore, stamattina, non appena i servi del califfo ebbero
trasportato in cortile tutti quei libri per distruggerli con il fuoco, passando
vicino alla sala dove prima c'era la tua biblioteca, ho trovato cinque pagine
staccate, in mezzo alla polvere e al sudiciume: e poiché in cucina manca sempre
tutto, ho pensato di lavarle e usarle per avvolgere i pesci e quanto serve per
il pasto che mi hanno ordinato di preparare. Ti prego di perdonare questa
povera armena senza discernimento, ma ho pensato che in ogni caso i fogli
sarebbero andati ad alimentare le fiamme". Sanad al-Dawla disse: "Sei
perdonata, e d'ora in avanti non devi considerare me tuo signore, ma il sereno
e impeccabile Muhammad al-Katib, che fu mio segretario. Ti do un ultimo ordine,
quello di conservare i fogli che hai trovato nella polvere e nel
sudiciume".
Sanad al-Dawla mangiò i pesci e bevve acqua di fonte, mentre
i servi lo guardavano e commentavano pungenti: "Ecco, ora che la giustizia
lo ha raggiunto è diventato pio e non si ubriaca più col vino dei
cristiani". Dopo il pasto si ritirò per l'ultima volta nelle sue stanze, dove
i pochi bagagli erano già pronti: chiuse a chiave la porta, si sedette sul
pavimento, prese le pagine staccate, impolverate e bagnate e cominciò a
leggere. Erano scritte in arabo chiaro, e al principio della prima era ben
visibile un titolo:
Storia della scimmia che sfuggì ai cani selvatici
Si racconta che nei tempi antichi – ma Dio ne sa di
più – una scimmia che viveva in pace nei boschi delle isole della Cina venne
assalita da un branco di cani selvatici veloci come frecce di ciliegio e
spietati come demoni delle rovine. Piena di terrore, la scimmia entrò in una
capanna di sterpi appoggiata ad una rupe, da cui scorreva verso la valle un
torrente simile al cristallo. Era la dimora di un povero saggio, che in quel
momento era nel bosco a raccogliere semplici, ed era così ingenuo e di buon
cuore da non aver pensato a difendere le sue poche proprietà con una porta e un
chiavistello. La scimmia, per sfuggire ai cani feroci, si nascose nella stufa
ed aspettò che i suoi inseguitori, ingannati, procedessero lungo il sentiero.
Appena udì solo il canto degli uccelli e il flusso dell'acqua, soddisfatta, si
preparò ad uscire dal suo rifugio, ma non poté: aveva chiuso la porticina di
ferro e non sapeva come riaprirla. Decise dunque di arrampicarsi all'interno della
stufa, lungo le sue pareti di terra, oscure come la notte e fetide come il
luogo di pena dei miscredenti: ricoperta di cenere, col calore del fuoco ancora
non estinto che irraggiava dal basso, la scimmia cercava appigli per le zampe –
a volte ne trovava e saliva, a volte non ne trovava, a volte ne trovava e
ricadeva. Dopo molti sforzi, incalzata dall'ardore crescente, con le viscere
rivoltate dal puzzo di pietre calcinate e il fiato sempre più corto per la
fatica e la mancanza d'aria, la scimmia arrivò alla cappa, che si stringeva
palmo dopo palmo, come un collare. Sentendosi soffocare, la bestia gridò:
"Prendo rifugio in Dio, Signore dei mondi. Mio Dio, prendo rifugio da te
in te". Allora udì una detonazione secca e possente, e quando gli occhi
tornarono a vedere, come Dio volle, si accorse che la stufa si era spaccata in
alto, consentendole il passaggio. Appena uscita dalla sua prigione, cercò
dell'acqua per mondarsi dalla lordura e per placare l'arsura. Vide un bacile,
che il povero saggio usava per le abluzioni del mattino: nel chinarsi per bere
scorse il proprio riflesso – ed ecco, la scimmia dei boschi era diventata un
uomo armonioso, con una corona candida come la luna sul capo e un mantello
rosso come il sole sulle spalle. E così, col permesso di Dio, fu acclamato
sovrano delle isole della Cina e si sottomise a Dio insieme al popolo degli
uomini e dei jinn.
Alla fine della favola era scritto in arabo chiaro:
"Questo dunque, Sanad al-Dawla al-Habashi, figlio mio, è il modo per fare
la Pietra dei Saggi. Com'è scritto: 'Mostreremo loro i nostri segni sugli
orizzonti e nelle loro anime, finché diventi chiaro per loro che è il Reale ed
il Vero. Ma riguardo al vostro Signore, non basta che egli sia di ogni cosa il
Testimone?'". Seguivano alcune tavole con la chiave dei simboli e delle
allusioni, dei segreti e delle allegorie.
Il governatore di Bassora partì per l'esilio in un luogo
oscuro e deserto sui monti del Khorasan. In dieci anni esatti ottenne la
Pietra, come Dio volle, e la Pietra gli restituì, col permesso di Dio, la
felicità, l'onore e la potenza. Sia lode al Generoso e al Sottile.
E l'alba raggiunse Shahrazad, ed ella interruppe il dire
consentito.
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