Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



martedì 1 giugno 2010

Davanti al cancello del giardino delle Esperidi


Sotto molti aspetti percepisco e vivo una calda vicinanza, una reale intimità nei confronti del dharma buddhista. Amo e venero la centralità che accorda alla meditazione-contemplazione, lo sguardo fenomenologico cui addestra il cuore, il suo spirito insieme agnostico e devozionale, nominalista e realista, sublime-paradossale e ordinario-popolare. Il suo pragmatismo, tutto soteriologico e concretamente mistico, consente anche di vedere in trasparenza certe parole del Risvegliato che, riformulate in chiave dottrinale o dogmatica (nonostante il suo divieto espresso ed insistito, ma è fatale quando sorge una comunità umana), possono finire in mitologie pseudofilosofiche.
C’è solo una cosa che mi tiene distante, irrimediabilmente e decisivamente, dal buddhismo: una cosa di cui non ha nessuna colpa – ma è proprio questo il punto; ed è la sua incapacità radicale di intervenire profeticamente nella dissoluzione del mio mondo. Solo la mano che ci ha colpiti può guarirci: e se la salvezza ci raggiungerà di nuovo ex Oriente, dovrà rispondere alla nostra angoscia senza confutarla con la possente mitezza di Shakyamuni.

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