Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



lunedì 28 giugno 2010

I paradossi delle élite/2


Mi servo di un esempio storico per illustrare un altro dei paradossi dell’élite. Nel duello ideale che opponeva Atene a Sparta, Platone non poteva che sentirsi più vicino alla seconda. Contro l’orgogliosa e ipocrita democrazia ateniese, geniale e spregiudicata, col suo imperialismo, il suo mercantilismo piratesco e la nascente lebbra delle speculazioni finanziarie e del grande commercio sradicatore, con la sua paideia alla continua ricerca di equilibri tra l’illusionismo delle arti figurative e lo splendore della manifestazione perfetta, mediatrice, tra lo scatenamento di passioni del teatro e la sua catarsi come surrogato delle iniziazioni, tra le favole irrazionali dei miti e il razionalismo spaesante della dialettica – stava l’aristocrazia spartana, fondata sulla custodia della tradizione, sulla coltivazione delle virtù militari e civiche, sul disprezzo per gli agi e per il veleno seducente dell’individualismo urbano, con la sua economia retta e frugale e la sua struttura sociale inesorabilmente castale. Ma Sparta – di cui i giudei, fieri, umili e militanti difensori della vita secondo la Torah, si sentivano parenti – è l’incarnazione di un paradosso davvero istruttivo: il paradosso di una società quasi immobile, quasi del tutto priva di ‘cultura’ nel senso a noi più comprensibile del termine (non a caso di derivazione ateniese), di una comunità che paga la sua rettitudine con una ferrea e sistematica oppressione della maggioranza del popolo; di una città che sacrifica alla giusta eguaglianza arcaica dei pochi le libertà autentiche dei molti. Di più: il paradosso dell’unica polis fondata sullo splendore dell’andreia, del coraggio; ma in cui questo splendore era a sua volta fondato sul tenebroso addestramento dei giovani al terrorismo, sull’onnipotenza di una polizia segreta, la krypteia, che garantiva la stabilità e l’ordine aristocratico formando squadre di agenti pronti a tutto. Non è una cosa nuova, mi si obietterà. Infatti no, e ho anche esagerato qualche tratto: ma è archetipicamente esemplare. Certo, Platone pensava piuttosto a un’aristocrazia della prima funzione, brahmanica, pitagorica, non militaresca, kshatriya, come nella roccaforte spartana: ma resta la grande burla di una trasparenza ideale le cui radici affondato nella scura terra delle assemblee segrete.

6 commenti:

  1. Eh, questo è un punto che per me rimane irrisolto. L'ambiguità piena di fascino, di una società ferocemente tradizionalista mi pare che risuoni, a tratti, come un monito per noi che abbiamo imboccato con decisione la strada opposta. Eppure, come dici bene qui, è anche impossibile accettarne le premesse, e il costo.

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  2. Infatti, Davide, è un punto irrisolto - forse perché insolubile. Un koan, direbbe un monaco Zen: qualcosa di fecondamente paradossale, di paradossalmente fecondo. Il Tao-te-ching (o Daodejjing, come si traslittera oggi) mi sembra la guida più sicura-spiazzante in questo cuore-ventre oscuro dell'archè: le radici ci sono finché non ci si cura di esse (ma non nel senso che le si trascura!) - quando si parla di radici, si è sradicati... E rifarsi le radici è come rifarsi la verginità - solo la grazia ci soccorre, e la grazia è l'Incalcolabile

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  3. Eh sì, quando se ne parla significa che la sostanza si è già persa (Cum pietatem funditus amiserint / Pi tamen dici nunc maxime reges volunt. / Quo res magis labuntur, haerent nomina Zibaldone, 85).
    Mi chiedo però se siano esistite altre società, tradizionaliste fino a essere immobili, ma segnate da tratti meno coercitivi, magari grazie a una particolare ricchezza di risorse naturali, e un isolamento più o meno assoluto dal resto del mondo. Ma certo si ricade nel buon selvaggio...

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  4. Qualche tratto più gentile lo rinvieni, di quando in quando - soprattutto in popoli molto piccoli e molto singolari - ma l'icona non la ricomponi come il poeta stilnovista l'immagine perfetta dell'amata, con un patchwork di lineamenti delle culture belle (delle belle donne), l'icona ce l'abbiamo piantata nel cuore e non la ritroviamo mai. Forse, essendo immagine divina, è nullibi et ubique, più vera del vero... Ma anche questo pensiero, se lo formuliamo, se lo usiamo come appoggio o consolazione (se lo usiamo), si sgretola, ci gabba con un sorriso da sfinge davvero arcaica. Che sia questo ritmo intimo e straziante tra gabbo e presenza intima, l'esoterismo (esoterikon tou naou...)?

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  5. torno a commentare qui per segnalarti questo vecchio pezzo, risistemato e messo online. come vedi è un tema che, nella mia ingenuità, mi ha sempre affascinato profondamente: http://editriceffequ.wordpress.com/2010/07/19/memoriale-spartano-waiting-for-clandestina/

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  6. Grazie Davide, ho pubblicato un breve e insignificante commento (aperto a sviluppi) nel blog del GR

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