Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



lunedì 28 giugno 2010

I paradossi delle élite/1


Come tutti i "miti" di questo tipo, il mito dell’élite ha un lato misterico (aurorale, nutriente, necessario) e un lato mistificante (tralignante, ideologico, solidificato). Analogamente, la maya è il potere creativo mediante il quale il divino si manifesta, ma anche il potere offuscante, illusionistico, ingannevole delle identificazioni alienanti (ri-velazione!). Ogni mediazione, in quanto tale, è ambigua, tragicomica: il racconto mitico dell’arché ci accosta all’arché allontanandoci da essa; il rituale in cui il racconto si incarna è presenza, intersezione fra tempo ed eternità, ma anche routine ottundente, distraente, maledetta (pensa al sacrificio nella Bibbia!).
Veniamo all’élite dei sapienti. Nessuna cultura, nessuna comunità può coltivare la propria libertà spirituale senza una fitta rete di iniziazioni, senza proteggere una fluida ma radicata struttura di corporazioni, di confraternite, di spazi in cui la tradizione vivente possa conservarsi assimilando alterità. È questa la vera "società civile", che il pensiero politico moderno ha esaltato proprio quando, nella realtà esperienziale dei "delicati rapporti" reciproci (Hoelderlin), non si poteva non constatarne la morte e/o la mefitica putrefazione. Il fatto è che l’homo hierarchicus, per preservare la libertà, deve continuamente criticarne le parziali manifestazioni storiche: la conservazione della tradizione, cioè della forma, implica l’incessante revisione delle forme. Per adorare Dio bisogna spezzare gli idoli, mettere insieme Saturno ed Hermes, commento e critica.
Una società gerarchica tradizionale dev’essere in realtà profondamente anarchica. Anzi, è proprio la struttura iniziatica, corporativa, consuetudinaria a proteggere il popolo, nella sua complessità non egualitaria ma intimamente paritaria, dal controllo dello Stato, dalla manipolazione di poteri alieni. Questo è l’ideale, che andrebbe coltivato taoisticamente, cioè con un senso del radicamento privo dell’ossessione per le forme istituzionali: ma è un altro mito, un altro ideale irraggiungibile se non per asintoto. Un ideale fecondo, però. Non appena le gerarchie si istituzionalizzano, si solidificano, non appena le élites si difendono come fa l’io nei confronti del non-io, sorge il "Noialtri", il Grosso Animale di cui parlano Platone e Simone Weil. È uno degli apparenti paradossi dell’esoterismo, della tradizione, e in realtà una semplice considerazione dettata dal buon senso: per conservare la libertà dei padri, bisogna guardarsi dal costruirle intorno un recinto troppo robusto, un vaso ermetico che rischia di restare chiuso oltre i giusti tempi dell’operazione alchemica. Così i free masons medievali diventano massoni più o meno deviati, i Templari (così pare) un impero finanziario fondato sull’intelligence e, quando il mito di fondazione si perde nei meandri dell’oblio storico, le turuq sufi della Sicilia fatimida possono addirittura diventare le famiglie feudali che daranno vita alla mafia (intuizione geniale di Zolla, indimostrabile ma accattivante).
C’è una celebre battuta biliosa di Giovenale, nella satira sulle donne: i mariti gelosi si illudono di reprimere le fami erotiche e le micidiali astuzie delle loro mogli affidandole a sorveglianti occhiuti: ma "chi li custodirà, i custodi?" (quis custodiet ipsos custodes?). Giustamente queste parole sono state applicate alla famosa politeia platonica: chi custodirà i custodi, i phylakes sapienti che vivono come asceti pitagorici nascondendo al popolino lavoratore e ai rudi militari gli arcana imperii e gli arcana sacrorum? Certo, è una questione politica antica come la politica, e non bisogna sofisticamente trarne la conclusione che "è meglio la confusione un po’ più trasparente della democrazia", perché il pensiero deve sempre confrontarsi col meno peggio, ma non può proibirsi di volare verso l’archetipo, verso l’ottimo. E l’archetipo è ironico, sfuggente. I sufi dicono che esiste l’élite spirituale (khassa), ma al di sopra c’è l’élite dell’élite (khassatu l-khassa) che guarda dall’alto le strutture iniziatiche che a loro volta guardano dall’alto il basso mondo: ma l’unico modo di guardare dall’alto chi guarda dall’alto (l’unico modo di custodire i custodi?) è quello di coniugare appunto la chiusura a doppia mandata saturnina con l’inafferrabilità e l’ironia ermetica. La storia non si fa con i "se", ma la storia immaginaria (immaginale, forse) sì: se Platone avesse preso il potere in una qualche Siracusa e avesse attuato alla lettera il programma della Repubblica e delle Leggi (ma il cuore del mio pensiero non è stato messo per iscritto, precisa la Grande Volpe post-socratica!), il risultato non sarebbe stato molto diverso, temo, da una sorta di Iran khomeynista – o dall’Egitto fatimida (in cui però, grazie a Dio, l’arte profana non venne bandita).
Ma questa è ancora la scorza del problema: il nocciolo è ancora più duro – e più nutriente. Il mito del Sapiente o dei Sapienti non può essere letteralizzato. La sapienza è umile, è saper fare le sedie, è tirar su un muro – ovviamente con attenzione, con una certa percezione dei significati, delle forme, del contesto più ampio in cui la mia azione si inscrive. Guénon e Zolla lo sapevano – soprattutto lo Zolla liberatosi dal guenonismo –, ma rimane anche nella loro meditazione più matura una certa mitizzazione intellettuale di un mondo scomparso, un approccio da occidentale che cerca di rifarsi le radici. Nel cuore misterico del loro mito, permane un grumo – potenzialmente mortale – di mistificazione. Come dice un rabbino chassidico contemporaneo, l’esoterismo di testi come lo Zohar, il grande commento mistico alla Torah, racchiude il sod (il segreto, il livello profondo) della Torah: ma in quanto testo e libro, è la lettera del sod, l’aspetto letterale dell’esoterico! L’esoterico dell’esoterico è... Che cos’è? Se qualcuno potesse dirlo, sarebbe più tale? Ma certamente ha a che fare col saper fare le sedie – e le cattedrali. Se nessuno sa far più sedie e cattedrali, se la struttura iniziatica del vecchio mondo è stata divorata dal Leviatano degli Stati nazionali e poi della burocrazia napoleonica e poi parlamentare e poi ancora dalla capillare propaganda della società di massa (dove, dice magnificamente Foucault, il potere è più positivo e creativo che mai, altro che negativo e repressivo come nell’Antico Regime: oggi il potere entra nei corpi, li modella, è multicentrico, senza volto, sottile, magico): se le cose stanno così, il mito dell’élite-di-sapienti dev’essere sottoposto a un incessante ta’wil, che lo deletteralizzi senza pietà. Altrimenti non preserva antiche libertà: insinua nuove truffe.

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