Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



sabato 27 agosto 2011

Dalle memorie di un filosofo neoplatonico romano


Quando confidai al mio maestro che avevo deciso di suicidarmi, egli mi rispose senza alcun turbamento: “Va bene, ti aiuterò. Ricordati solo che sei mio discepolo, quindi dovrai farlo come ti ordinerò io”. Acconsentii. “Anzitutto, noi siamo filosofi, ovvero cerchiamo con ogni sforzo di distaccarci dal vincolo con il corpo. Quindi il tuo pensiero e la tua fantasia non andranno messi in atto esteriormente, ma interiormente; o meglio, una volta che li avrai portati dalla potenza all’atto nella tua anima, potrai, se lo crederai, trasferirli nel mondo visibile. Stando così le cose, ti ucciderai interiormente”. “Come può avvenire ciò, maestro?”. “Nel modo in cui te l’ho detto: ucciditi dentro di te, poi, dopo aver sottoposto il tutto ad un esame preliminare con retta intelligenza, porta dentro di te le conseguenze del tuo atto. Posso esprimerti la cosa in due modi: muori completamente, senza lasciare alcuna traccia di te, oppure vivi come se ti fossi ucciso con pieno successo”. “Ma se vivo il mio suicidio, non sarà un suicidio”. “Come fai a saperlo prima di averlo messo in atto? Non credere che questa morte nell’anima sia meno grave dell’angoscia di chi, senza aver rettamente filosofato, si uccide, oppure della graduale morte in vita di chi si abbandona ad una tetra fantasia senza volerla, per così dire, guardare negli occhi”. “Quali e dove sono gli occhi di una simile fantasia?” “Guardala, e i tuoi occhi incontreranno occhi. Ora hai la mia consegna, cui sei tenuto per il giuramento di fedeltà che hai prestato quando eri ragazzo”. Mi inchinai, mi uccisi interiormente, e giunsi all’apice del filosofare vivendo la mia morte e morendo la mia vita.

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