Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



giovedì 7 luglio 2011

Amleto


Nel saggio giovanile di Florenskij, l’indecisione di Amleto è quella del suo evo, da lui in quanto eroe tragico incarnato, in cui si vive il transito incerto e angoscioso tra la visione pagana, centrata sull’onore della stirpe, la solidarietà del sangue e la vendetta, e quella cristiana, fondata sul perdono delle offese, l’amore personale per il nemico, il superamento dell’unità del ghenos nell’unicità del singolo come membro di Cristo. In qualche modo i dilemmi del principe danese vengono così trasferiti dalla scena della coscienza individuale scissa e sofferente all’ambito più vasto della coscienza collettiva archetipica, ierostorica, daimonica: tale la direzione indicata da Santillana e dalla von Dechend nello studio sul “mulino” di Amleto-Amlodhi, ovvero l’eclittica. “Il Tempo è fuori dai cardini (out of joint). O sorte maledetta, che proprio io sia nato per rimetterlo in sesto!” (I. 5). Tuttavia la debolezza della coraggiosa prospettiva florenskiana si tradisce nello scarso rilievo che assegna ad un aspetto essenziale: nel passaggio, la coscienza pagana percepisce il nuovo, la nascente e imminente coscienza cristiana, solo come dissoluzione del noto, come scardinamento, appunto, dell’ordine antico, come la prodigiosa stanchezza del titano-Tempo di fronte a un paesaggio di rovine e la sua agitazione, la sua inane febbre di iniziazione che non inizia, di impossibile distillazione dell’evo. Nel crogiolo tragico le linee contrastanti si annullano, si apre un vuoto sul quale potrebbe anche stagliarsi una metafisica, una segreta liberazione, resta un silenzio di fatum e ironia che potrebbe anche impregnarsi di un seme ancora inaudito e inaudibile.

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