Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



venerdì 24 ottobre 2014

Edipo e la Sfinge




Sogno. Un uomo baffuto dal viso largo e scuro, forse un calderaio zigano ungherese (allusione ad un mio amico di probabili ascendenze zingare, che sta preparando una relazione sulla presenza della Sfinge a Roma), mi svela come un segreto del suo popolo, stirpe di Tubal-Cain, che la forma originaria dell’enigma della sfinge tebana era il paradosso stoico del Coccodrillo. Poi mi legge le carte: in realtà è il gioco delle tre carte, e sui piccoli rettangoli alternativamente coperti e scoperti non appaiono le antiche figure del Tarot, ma bizzarre immagini pornografiche, per lo più di perversioni passive. Nell’intermondo onirico ai disvelamenti, poiché emergono in modo meno mediato che nella veglia dalle profondità marine del sognatore, viene riconosciuta di solito una spaesata, sospesa infallibilità: si accetta senza dilemmi l’estraneo, così come si mina o demolisce il residuo del consueto.
Al risveglio ho dovuto ovviamente ricostruire, dipanare la matassa mantica con l’orecchio dell’ermeneuta. Nel paradosso stoico il Coccodrillo, che ha rapito un bambino, dice alla madre che glielo renderà se saprà prevedere correttamente le sue intenzioni: altrimenti, lo mangerà. La donna pietrifica il mostro ribattendo: “Tu non me lo restituirai”. Secondo il mio zigano, la sfinge avrebbe detto a Edipo: “La tua vita è tra i miei artigli: te la ridarò o no? Se indovini, sì: altrimenti, no”. Edipo, dopo la intensa e audace meditazione in cui lo coglie la celebre kylix a figure rosse, avrebbe dunque risposto: “Tu non me la ridarai”. Vinta, la sfinge si getta nell’abisso – esito tipico, greco e vedico, di un fallimento dialettico: ma in realtà è vinto anche Edipo, perché secondo la sua stessa parola la sua vita resterà fra gli artigli del mostro. Per darle scacco ha dovuto perdersi. L’unico modo, forse, per uscire dalla morsa della Strangolatrice sarebbe stato ritorcerle contro la mossa, come fa il dio degli oracoli, Apollo il Saettatore Obliquo, nella favoletta di Esopo: quando l’empio gli chiede se il passero che ha nella mano è vivo o morto (e per gabbare il Signore di Delfi ha deciso di ucciderlo stringendo il pugno se gli dice vivo, di aprire la mano trionfante se gli dice morto), il responso è – “Dipende da te (en soi esti, è in te)”. Solo rispondendo come un dio, che sa i limiti del fato e della predizione – solo accettando lo scacco come fa un dio, volgendolo a proprio vantaggio, Edipo si sarebbe salvato dal pròblema, dalla pietra d’inciampo lanciata dal dio stesso. “Dipende da te” riconduce il fato alla sua scaturigine indeterminata, all’istante in cui uomo e dio si scambiano continuamente le maschere.

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