Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



sabato 4 ottobre 2014

Giobbe, il pagano




Naḥman di Breslaw distingue tra ʻatzvut (tristezza, ḥuzn, melancholia, akedia) e lev nishbar, il “cuore spezzato” (contritum, per i latini) del Salmo 51. La prima è una “passione” fondata sull’ira; il secondo è dolore semplice, vipassana della sofferenza, lamento del puer abbandonato dal Padre. Eppure Giobbe, ḥanīf paradigmatico (ovvero, nel linguaggio islamico, pagano intimamente aperto e disponibile alla rivelazione del Dio Unico), vortica circolarmente tra la prima e il secondo – o meglio il suo è un moto a spirale da un’ira stupita e semplice a un “cuore (mente) spezzato e calpestato” che si indigna, ha fame e sete di Giudizio e Misericordia. Dio risponde alla sfida: la sua ironia è iniziatica, muove il cuore spezzato e triste sulla soglia tra Rigore e Tenerezza, Din e Raḥamim. Il silenzio di Giobbe apre nel cuore il buco della visione: si confuta e si consola su polvere e cenere, il suo io diventa intercessione, misericordia.

“Mi odio” (Gb 42,6). Già in 9,11: “Sono integro? Non lo so nemmeno io [nafshì – ma anche: non conosco la mia anima]: odio la mia vita”. Giobbe è l’“Odiato”: nella sua integrità iniziale c’è l’angoscia del non sapere se è integro – se il suo dolore è akedia/ʻatzvut o “cuore spezzato”, l’alternativa di Naḥman. Tutto era figura e segno dell’odio-di-sé liberante e liberato: la visione di Dio che svuota l’uomo, la teofania nella forma di un mondo che è intimamente e perpetuamente libero dall’angoscia semiconsapevole dell’uomo. Dice Elifaz: “Non esce dalla polvere la sventura, e dalla terra non spunta il tormento [ʻamal, fatica, sforzo, dukkha] – ma l’uomo nasce per il tormento come le faville si alzano in volo”.

Leviatano è la teofania della potenza divina. Contemplandone la terribilità innocente, Giobbe si svuota. È la Tigre di Blake, burning bright/ in the forests of the night: i suoi occhi sono le palpebre dell’aurora. Giobbe è chiamato a venerare Dio nella sua manifestazione animale, animistica: la quiete possente di Behemot, sintesi di tutte le bestie, e la ferocia affascinante del mostro Leviatano, forse modellato sul sacro coccodrillo del Nilo, Sobek-Ra. Liwyatan, il Contorto, l’Avvolto-a-spirale, Oceano-Tiamat, l’energia serpentina che Dio uccide-domina alla fine dei tempi (Serpe-Luna sotto i piedi della Vergine, Shakti purissima) per nutrirne gli eletti, gli iniziati. È Moby Dick, è il Sunday di Chesterton, capo dei terroristi e insieme della polizia segreta: il drago è l’anima stessa del cavaliere, ovvero è identico alla principessa che custodisce-imprigiona tra le sue spire. L’iniziato, il fatā’, è San Giorgio, Khiḍr il Verde, il misterioso ‘profeta’ coranico che è superiore al legislatore Musā, alle sue discriminazioni. Khiḍr è in grado di uccidere un fanciullo, per giustizia e misericordia sovrumane: i suoi atti destano orrore e angoscia, ha assimilato-vinto il verde drago, il principe di questo mondo.

Le tre “nuove” figlie di Giobbe si chiamano Yemimah, Qetziah, Qeren-Happukh: Colomba, Cassia, Corno d’Antimonio. La grazia dell’albedo: l’aroma dell’incenso, del sacrificio-orazione: la polvere che intensifica lo sguardo. Levità, consumazione e profumo, kosmos (l’antimonio è il kohol, cosmetico e materia prima mercuriale dell’opera alchemica, polvere nera che sottolinea l’occhio). Dieu est dans le détail.

Sobek-Horus raccoglie i brani di Osiride. Leviatano distrugge e ricompone – reintegra – Giobbe. Alla fine è davvero tam, “intero” – proprio perché spezzato, lev nishbar: ha integrato il Mostro e Belinda, ha amato il Mostro.

Il discorso finale di Giobbe va letto integralmente:

Ho scoperto che tutto puoi
E nessun pensiero è da te escluso

Chi è costui [parla di sé guardandosi da fuori, si appropria delle parole di sfida di Dio] che oscura il consiglio senza penetrarlo?
Perciò ho espresso senza discernimento
Cose che mi superano, senza sapere

Ascolta, io parlo [anche qui ripete la sfida divina]
Ti faccio domande, dammi tu conoscenza

Con l’ascolto dell’orecchio ti ho ascoltato [ragione e fede]
Ma ora i miei occhi ti vedono [teofania]

Per questo mi odio e mi ricreo [mi consolo, mi pento, radice n-ḥ-m, da cui il nome Naḥman]
Su polvere e cenere [dissolto, morto, consumato, cremato].

Giobbe aveva detto: “Egli [Dio] mi schiaccerà in un turbine” (seʻarah con la lettera sin). Poi: “E Dio parlò a Giobbe dal turbine” (seʻarah con la lettera samekh, la stessa di sod, il segreto esoterico. Samekh è l’antico ideogramma del sesso femminile, lettera ambigua, veleno e transito, morte iniziatica). 1) Dio parla a Giobbe da dentro il turbine, il Maelström che lo sommerge; 2) La parola di Dio è il turbine stesso, il vortice o spirale serpentina tra cielo e terra, che risucchia in cielo Elia, l’iniziato. La teofania è il dînos, il Vortice.

Giobbe è un edomita, quindi un antenato dei Romani, secondo la biblica tavola delle nazioni. È fuori da Israele, sulla soglia tra semiti e goyim. Giobbe l’Odiato, l’Amato, è un pagano iniziato al mistero delle teofanie molteplici dell’Unico.

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