Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



sabato 27 dicembre 2014

L’Impero e l’albedo




Crescente e stella: simbolo del Vicino Oriente devoto della Dea; tramite i persiani arriva a Bisanzio, città di Ecate la maga, dea lunare dei trivi (la luna nuova, oscura).
Il crescente di luna è Diana, la albedo della illuminazione che inizia alla regalità, al dominio: le acque inferiori vengono fissate, appare l’argento della consapevolezza libera da spazio e tempo. La luna di Malkut, della sovranità, viene seguita immediatamente dalla stella del mattino, Lucifero-Venere, portatrice della viriditas, della fioritura di vita vegetativa, plastica e immaginativa. È l’Aurora Consurgens, l’Equinozio di Primavera eterno, l’incipit vita nova dell’incontro con la Dama. Nella Roma cristiana, teocratica, il simbolo viene reso esplicito, esibito: la Donna che tiene la luna, le acque, sotto i piedi ed è ammantata di stelle – dominio del divenire, del mutamento, del serpente, della falce saturnia del tempo sublunare. Nella Roma pagana il tema resta velato nel mito di fondazione: ostilità di Luna e Venere, Giunone-Taanit, protettrice di Cartagine, e la madre di Enea, protettrice di Troia. La falce lunare è quella di Saturnus, che si è nascosto nel Lazio (Latium a latendo): dio del sat, ipotizza Reghini, della pienezza aurea, e insieme della caduta nel Tartaro del corpo fisico. Bisanzio è la Seconda Roma, cristiana ma imperiale, che riprende lo stendardo della Dea: non più Ecate ma la Vergine, anche se le figure femminili della mitografia imperiale avranno sovente tratti di prostituta e fattucchiera. I turchi poi, forse anche memori del loro passato remoto di adoratori della Dea, assumono l’insegna islamizzandola: l’hilal del mese lunare, del Ramadan; la stella del mattino come annuncio profetico, Colui che viene di notte, al-Ṭāriq. Islam lex Veneris: l’aldilà corposo, l’immaginazione creatrice, teofanica. Terza Roma, Mosca: dopo la Rivoluzione di Ottobre, la falce lunare di Saturno agricoltore, la stella che annuncia il Sole dell’Avvenire, in più il martello della forgia di Vulcano. L’impero emerge dalle acque, dalla notte della guerra civile, è imbiancamento del cuore che fa verdeggiare la terra: tutto fiorisce, si sviluppa, le potenze esultano nella primavera dell’espressione liberata. La pace imperiale (proprio come la pienezza ebraica, shalom) dona la felicitas terrena, riconduce al paradiso terrestre (la Matelda di Dante): è la sublimazione della terra, ottenuta facendo volare le aquile, uccelli di Giove, e le colombe, uccelli di Venere. Nel Triomphe Hermétique è scritto: Sydera Veneris et corniculatae Dianae tibi propitia sunto: la stella del mattino e il crescente. Spirito e corpo si congiungono, le loro nozze sono l’equinozio dominato dall’Ariete, ovvero dallo zolfo sepolto nel corpo come Lucifero, visio smaragdina della gloria arcangelica, è conficcato al centro della Terra.
Malkut è luna e terra, Dama che si offre all’eroe, candidato alla regalità. La Sposa celeste è una Venere che conferisce la capacità di vinculatio, la magia erotica dell’impero: ma è anche una Diana ritrosa, che contemplata nel suo occulto splendore rende cervi gli Atteoni, prede i grandi cacciatori – ovvero ne fa esseri sovrumani, che complicano in sé i contrari, assimilano l’energia immane della sconfitta, dell’annichilazione, della spoliazione, rinascono da acqua e spirito.

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