Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



martedì 24 settembre 2013

Dall’Ecloga XIV, alla gelida Cloe (Juan san Martin de la Vega)


Gelida Cloe, che vampa di meriggio
esalta in forte e ripida purezza,
che tumultuosa bile d’autunno
magnifica ed attarda, foglia e frutto,
che per stazzi sublimi, allucinati,
tra due folgorazioni consuete
smarrisci dieci pecore, e in un lampo
le ritrovi, accasciate come mistici
all’ombra di una pietra madre, grigia,
che guardando le stanze della notte
le fai più vaste perché più curvate
in lor segreto, gravide di mondo,
nauseate in silenzio, decorose
come l’ultima maschera che veglia
si pone per gabbare, come sfingi
troppo sapienti per vestirsi d’aura –
resta, gelida Cloe, non m’ascoltare,
non voltarti alle lacrime del flauto,
non mirarmi reclino sotto il fico,
spaccato come lui da cento uccelli,
come lui ustionato e trepidante
di dubbio nella mia maturazione,
come lui denso d’occhi e delirante
nel freddo della notte che mi preme
e circoscrive, in tutto consumato,
a tutto e a niente stravolto e donato.

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