La nostra tendenza a ‘situare le cose’
coincide con il desiderio contratto in attaccamento: attaccamento per noi
stessi come esseri limitati e per le cose in quanto proiezioni di un desiderio
limitato. La disposizione delle cose nello spazio e nel tempo riflette questo
atto originario. Ma se si percepiscono le cose con aperta consapevolezza, senza
puntare gli occhi e gli altri sensi come ganci, se quel desiderio viene
ricondotto a se stesso, allora tutto è uno e uno è tutto: lo spazio – la
vacuità – penetra e accoglie le cose, le cose sono onde o vibrazioni di quello
spazio. Si può allora cogliere l’universo come una perla o una palla, sphaira,
o un singolo essere o dettaglio come un universo, come l’universo in
automanifestazione, come teofania divina e dunque essere.
Ogni cosa, nella prospettiva della totalità,
del mondo, è non-localizzata, dunque infinita e ‘coestesa’ al mondo. Ad ogni
istante sorge in noi il mondo, che ci è dato come prospettiva – esattamente in
quanto ci identifichiamo con l’io a cui la prospettiva fa riferimento,
delimitandolo e situandolo all’interno del mondo. Occorre vedere, sentire etc.
la prospettiva-istante, l’essere-tempo, ‘così com’è’, senza l’appendice
astratta del ‘resto-del-mondo’ di cui la prospettiva sarebbe una parte, e senza
d’altronde identificare astrattamente l’istante con la totalità (un’illusione
ancor più grave nella pratica meditativa, che deve invece rendere trasparenti
le immagini e i concetti che ‘sono lì’, non sostituirli ‘metafisicamente’-idolatricamente
con altre immagini e concetti).
Fluire sull’onda circolare del respiro,
circolare con il sangue. Nel punto di interesezione, sulla soglia, c’è il Punto
in cui la spirale si rovescia, in cui si passa dal sentirsi contenuti in un
corpo a sentire che si contiene il corpo e il mondo, e tutto si fa creazione
istantanea, il getto iniziale ricade su di sé, come una fontana di vita.
Abituandosi a entrare coscientemente in questo punto di sonno, di samadhi,
analogo alla sensazione “Io sono”, al mero senso di essere, si finisce per
andare oltre la soglia, per essere “l’impluvio del mondo”, la Femmina Oscura in
cui si manifesta originariamente il Tao.
Dei liberati bisogna dire quello che la
saggezza afferma dei coraggiosi: che muoiono una volta sola; e muoiono prima di
morire. Vivono la loro morte, e dunque si accorgono di essere la consapevolezza
che non nasce e non muore, sanno di essere l’essere. Non c’è alcun guadagno in
questo, perché così, in un certo senso, si annullano in quanto individui, in
quanto ego, come ogni uomo ordinario e non liberato: ma il fatto di
sperimentarlo durante la vita, congiungendo così vita e morte, nel punto ancora
al di qua della pura consapevolezza che è il punto di volta dell’universo e il
punto di svolta fra mondo e non-mondo, li realizza. (Il punto è la fine
punta o il centro dell’anima, che è lo spirito. Lo spirito ha per base o
ricettacolo l’anima, ed è a sua volta base e ricettacolo del divino). Non
ripetono sempre che propriamente parlando non fanno nulla, che si risvegliano a
ciò che è e che sono, che si accorgono di essere sempre stati a casa? Il fine,
ovvero la beatitudine, è pur sempre un mezzo per accertarsi di ciò che non è
fine e non ha fine. Diventano uomini perfetti cessando di essere uomini, scoprendosi
morti viventi. Per questo Parmenide è accolto con tutti i riguardi dalla regina
dei morti.
(La nuda sensazione di essere come soglia tra
i mondi).
Respirando meditativamente gli istanti, si
rendono più lievi le cose e più corposi i pensieri.
Il sintomo più impressionante della Caduta: il
mistico è il normale, e passa sempre per anormale (o per l’Anormale).
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