Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



sabato 4 settembre 2010

Appunti dell'uomo di campagna davanti alla porta della Legge/2


Bet

I due bracci della Croce additano, e sono, la perfezione della conoscenza, sono il genjo koan, la "contraddizione realizzata", del buddhismo zen (1). Ad esempio: il mistico vive/conosce l'unicità dell'Essenza divina (al-Hallaj dice: "Io sono la Realtà-Verità"), ma la sua vicenda umana è velata dai doni divini comuni, e comunque non si consuma nella tensione verso la manifestazione (il mistico è l'esoterico rispetto al letterale, ma poiché è interno a una tradizione, che riconduce alla sua origine-novità, è anche il letterale dell'esoterico); il sacerdote e il re sacro mimano l'evento umano-divino attraverso la mediazione del rito, sono anch'essi interni a una rivelazione in qualche modo già data: il profeta lascia che Dio faccia della sua umanità un segno, irripetibile e fuori della mediazione tradizionale, ma proprio per questo egli è sempre ancora la Voce (come l'ultimo, il Battezzatore) e non il Verbo, è cristoforo e non cristo. In cima al Golgota la mistica diventa l'alto braccio verticale su cui il corpo sta eretto, eppure inclinato dalla misericordia e dal dolore: la profezia diventa l'ampio braccio orizzontale su cui si dischiude l'amplesso e inchioda l'abbandono (allargo le braccia nella perplessità, nell'adorazione, nella caduta); e su questo perfetto incontro di vie opposte del pensiero e dell'esistenza, muore la perfezione della tradizione, muore la regalità sacra, muore il sacerdozio, perché oportet che muoiano, per risorgere (se pure muoiono gridando, se pure muoiono sussurrando tetèlestai, cioè sia "è compiuto" sia "è finita").
Un altro koan, un'altra contraddizione che lacera e illumina: la Legge, data per questo mondo, ha ragione di condannare chi in questo mondo riveli ciò che è perfettamente vero solo nel mondo-che-viene (2); e tuttavia (waw copulativo-avversativo, ambiguità tipica della lingua ebraica) la Legge, provando e condannando il caso-limite, il Messia-Dio, prova e condanna se stessa, costituendosi come ostacolo alla rivelazione finale che dovrebbe preparare e mediare. Il punto d'intersezione, impossibile e più vero dei due termini in contrasto, sta in ciò, che l'imputato non è peccatore e maledetto, ma è fatto peccato (2Co 5,21) e maledizione (Ga 3,13); poiché accetta sia la sentenza sia la sospensione scandalosa della Legge, egli prova se stesso provando la Legge, quindi non ricade nelle sue definizioni di colpabilità (peccatore) e passività sacrale (maledetto): identificandosi con la totalità del processo, dell'iter, egli non è più vittima del processo ma di Dio.
Non patendo la Legge, e non sfuggendola, Gesù ha restituito la moneta a chi l'ha coniata.

Note

1) Cfr Eihei Dogen Zenji, maestro della scuola zen Soto. Simone Weil ha sentito fortemente il nesso tra koan e Croce.

2) Cfr la bella discussione giuridico-mistica del grande sufi algerino Abd el-Kader, nel Kitab al-Mawaqif.

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