Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



domenica 11 settembre 2011

Riflessioni filosofiche estive/2


Berkeley: Esse mundi est percipi. Lo spirito o soggetto non fa parte del mondo, è il limite del mondo: non può essere percepito, se ne può avere una nozione, una conoscenza intellettuale. Lo spirito o mente creata, limitata, è attiva e passiva: produce le idee ricevendole; lo spirito sommamente attivo o Dio, atto puro, percepisce (sé) creando l’uomo e gli altri esseri, percepisce (sé) nell’uomo. Le idee astratte sono legittime se non vengono separate, ipostatizzandole, da quelle concrete: sono la grammatica del linguaggio divino-mondano (umano), che può solo essere mostrata-usata. (Ciò rende possibile una scienza poetica). La tesi del saggio sulla visione è espressa in modo maldestro: le idee visive non sono mero segno di quelle tattili, non si può ridurre un ambito sensoriale all’altro; le idee di un senso esprimono più o meno confusamente le idee di ogni altro, e il sesto senso, l’immaginazione o synaisthesis, sensus communis, costruisce nella sua relativa unità la percezione-mondo. Importante comunque l’intuizione delle idee concrete come linguaggio: un linguaggio geroglifico – le percezioni sensibili, che Leibniz e Spinoza definiscono confuse, proprio per la loro confusione intuitiva, per la loro passività, esprimono l’attività creatrice dello spirito in alio (ogni prospettiva o fenomeno esprime, manifesta suo modo, nella sua contrazione, il mondo-tutto che esprime Dio, l’Uno).
Il cieco che riacquista la funzionalità dell’organo vede un insieme di particolari come se fossero nel suo occhio o nella sua mente, ma è proprio anche dell’animale costruire un mondo di oggetti visivi-tattili attraverso l’immaginazione, sebbene confusamente e sempre in modo particolare (sempre in un sogno di proiezioni bidimensionali il cui spessore si dispiega nel tempo-movimento). L’immaginazione media tra concreto e astratto, tra il particolare concreto e l’universale astratto, che è una costruzione logica, un ens rationis in cui però si mostra l’unità irrappresentabile dell’intelletto, del Soggetto-Spirito che unifica il molteplice. (La logica non è congetturale, non è una costruzione della mente che partecipa della verità proiettandola, incarnandola nella sua forma segnica, nel suo simbolo, ma proprio in quanto sistema dei rapporti necessari non può essere costruita. La ragione stessa non può che essere il farsi del linguaggio a partire dal-in direzione del nous che è l’intuizione del concreto come particolare-universale, uno-tutto, tutto-in-tutto, il mistico di Wittgenstein, il che contrapposto al come).
Se contemplo l’oggetto purificandone l’idea sensibile dall’ignoranza (chiusura nella prospettiva individuale), dall’attaccamento (l’oggetto come mera proiezione di un bisogno animale) e dall’avversione (la determinazione come negazione, la separazione), sono attivamente presente all’oggetto, lo colgo in un sonno sovrarazionale che lo lascia emergere dalla mia stessa mente purificata come una sua articolazione e al tempo stesso come oggetto puro, manifestazione del mondo e di Dio o del Sé. La meditazione-ragione mi ha già accompagnato connettendo il particolare con il mondo intero: attraverso l’interdipendenza o causalità circolare, attraverso la conoscenza della sua necessità e al tempo stesso della sua contingenza; così i nessi razionali e immaginativi mi hanno condotto sulla soglia di un salto, che però è un salto nell’oggetto-sensazione e non al di fuori di esso-essa; ora la sensazione è libera dalla particolarità confusa del particolare, ma non per accedere all’universale immaginario-razionale, bensì al particolare come totalità manifesta, come sintesi di finito e infinito, come contrazione dell’infinito (stavolta è un genitivo soggettivo o piuttosto soggettivo-oggettivo: come atto dell’infinito, come atto di essere-conoscenza dell’infinito). In tal modo la mente riposa in sé e nell’oggetto, e la sua uni-dualità è la conoscenza e la vita (l’essere) supremo che le è dato attingere: in essa si manifesta l’Uno, che è appunto presente nell’esperienza noetica come senso e fondamento della sua fruizione. L’estasi di Plotino come esperienza privilegiata dell’Uno è, in quanto esperienza, solo una conferma (un po’ come la produzione di oro quando si è ottenuto il Lapis): l’accesso all’Uno è la vita stessa dello jivanmukta, il superamento vissuto di ogni dualità.
La filosofia di Berkeley, con le sue aporie e le sue incoerenze, è utilissima come stimolo dialettico per comprendere il percorso circolare dalla percezione sensibile, passiva, all’intuizione intellettuale. In quest’ultima il particolare è la determinazione dell’infinito, è un particolare articolato e non confuso, e l’universale non è l’astratto, ricavato dalle somiglianze e dalle associazioni, ma l’universale concreto che è l’unità e l’identità (questo rosso è il rosso, lo stesso rosso, il rosso stesso).
Berkeley: l’idea sensibile o intuizione confusa, passiva, è costituita, relativamente alla vista, solo di luci e colori. Analogamente, nell’intuizione intellettuale non c’è che il manifestarsi, il contrarsi della luce. La costruzione immaginativa-razionale (animale-umana) del mondo è un velo ma anche (in quanto) organizza ciò che è confuso in una unimolteplicità più distinta, prevedibile, manipolabile-conoscibile: un sogno i cui nessi si rivelano necessari, identici, comuni.

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