Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



venerdì 25 marzo 2011

Appunti presi in piedi sull’autobus


Oltre la spera che più larga gira
passa ‘l sospiro ch’esce del mio core:
intelligenza nova, che l’Amore
piangendo mette in lui, pur su lo tira.

Quand’elli è giunto là dove disira,
vede una donna, che riceve onore,
e luce sì, che per lo suo splendore
lo peregrino spirito la mira.

Vedela tal, che quando ‘l mi ridice,
io no lo intendo, sì parla sottile
al cor dolente, che lo fa parlare.

So io che parla di quella gentile,
però che spesso ricorda Beatrice,
sì ch’io ‘ntendo ben, donne mie care.

Va ruminato parola per parola, tanto mirabile è la sua esattezza – veramente si gusta l’affinamento che la morte dell’amata ha operato nell’anima e nell’arte di Dante. Il sospiro di dolorosa nostalgia, di straziata orfanezza che esce dal cuore del poeta passa oltre la sfera celeste che ha l’orbita più ampia – il Primo Mobile – cioè accede all’Empireo, la quarta dimensione in cui lo spazio si curva sul suo centro divino: e a farlo ascendere è una nuova potenza intellettiva, un angelo mai prima incontrato, una virtus immaginale che gli mette le ali erotiche dell’epistrofè. E chi ha messo questa intelligentia nel cuore di Dante? L’amore in lutto, piangente, crocifisso. Quel dolore bruciante è un desiderio di raggiungere l’Empireo, la regione infuocata dalla prossimità divina: e basta una lacrima, un sospiro, per trapassare tutti i cieli e arrivarvi, in un attimo, in un fremito d’ali del cuore. Lì lo spirito pellegrino, in viaggio immaginale attraverso le forme celesti, emigrato dalla terra su cui resta solo una spoglia indecifrabile, cibo per i vermi, vede una donna che viene glorificata, e la contempla nella stessa luce che ella emana: è donna di luce, celeste, corpo spirituale, è la donna terrestre nella sua integrità oltre le tre dimensioni del cielo e della terra. E lo spirito, la punta più alta e sottile dell’anima amante e dolorosa, vede una presenza così piena e totale – è la Natura Perfetta di Dante – da tradurla in un linguaggio troppo sottile e balbettante per il cuore e l’anima che lo inducono a parlare, a raccontare la visione. Ma una cosa il cuore sa con certezza: che quella donna è Beatrice, l’amata terrestre, perché lo spirito ricorda (dhikr!) continuamente il suo nome, il nome e l’immagine che si è impressa indelebilmente nel cuore di Dante, come l’immagine e il nome del maestro nella pratica del discepolo sufi. L’ultimo verso è un cenno d’intesa alle donne dell’immaginazione dantesca, potenze dell’anima e figure angeliche molteplici che accompagnano il cuore e lo spirito del poeta nel suo viaggio immaginale-iniziatico.

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