Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



giovedì 24 marzo 2011

Il Maometto di Dante


L’inferno è proprio la condizione egoica, lo stato dell’io nella sua assurda nudità: un’irrealtà che l’uomo crede e vuole reale. È l’antico nesso socratico tra male e ignoranza, che il mondo abramico arricchisce di un’idea nuova, quella di volontà, di consenso. Il punto più sottile dell’ascetica cristiana delle origini è proprio qui: l’immagine è l’uomo, è l’umano come terra di mezzo, immaginale: diventa-è angelica nella misura in cui viene ricondotta (epistrofè) alla sua radice eterna, divina (superando così l’entropia, e quindi la morte, nella quarta dimensione), diventa-è satanica nella misura in cui le si sovrappone la passione, attaccamento o avversione (e così si dissolve indefinitamente nell’entropia infernale). L’uomo è una corda tesa tra la scimmia di Dio, il demonio, e l’oltre-uomo come suo modello, archetipo angelico nella terra di Hurqalya. Il Maometto e l’Ali di Inferno XXVIII sono figure immaginali che nell’alta fantasia di Dante incarnano la passione scismatica, che lacera il corpo della comunità credente (nel Medio Evo un’altra passione, quella per l’Unità, faceva sentire l’Islam come uno scisma cristiano, e in effetti la conquista musulmana interessò agli inizi soprattutto il mondo bizantino, cioè la cristianità orientale): di qui l’orrore e il disprezzo che colorano la scena, con la sua fisicità comicamente-disgustosamente viscerale. Nel mundus imaginalis verità e menzogna non sono quelle della logica, della teologia, del diritto: vero è il modo in cui vedi l’immagine, non la formula che l’intelletto vorrebbe estrarne: “allora l’Islam è diabolico?”. Ciò non significa che la visione di Dante sia valida solo per lui e il suo mondo (relativismo astratto), perché lo statuto dell’immaginazione (Corbin docet) è appunto il suo essere rivelazione particolare-e-universale, un incontro personale in cui le Intelligenze Divine sovraformali prendono forma per quell’uomo – e dunque hanno quella forma.

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