Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



venerdì 8 aprile 2011

Parziali per troppa totalità


Nei romanzi di Tolstoj ad un tratto compare un mužik dolce e severo, perfettamente fiabesco, che con la sua semplice presenza fisica, un paio di battute folgoranti e di proverbi meravigliosamente ordinari illumina un borghese torturato da splendidi vizi spirituali e da una violenta fame di giustizia, o un aristocratico crocifisso fra cielo e terra, flagellato da antiche finezze e nuove volgarità. Quel contadino, quel Platon Karataev realissimo e idealissimo, è ad un tempo il Povero Aggraziato di Pasolini e il Sapiente Aggraziato di Zolla: e tutti e tre sono miti, tre miti diversi, nitidamente e confusamente diversi, sono un unico mito – sono mito. Un’Arcadia, un Eden, perché nessuno muoverebbe un passo senza la ferita luminosa del Giardino negli abissi del cuore: ma appunto, come insegna il grande quadro di Poussin, anche nell’Arcadia c’è la morte, la fragilità, la frattura.

Il Sottoproletario Innocente è facile da demolire: la sua stoffa è più borghese e decadente che marxiana (sebbene anche la critica marxiana non possa sottrarsi alla legge secondo cui la lotta assimila distinguendo), e nonostante Pasolini sia tortuoso e complesso, davvero c’è qualcosa di irrimediabilmente viziato persino nelle sue visioni migliori. Ma perché? Perché sono profezie: e il profeta sbaglia sempre. Il profeta, cioè il più prezioso fra gli uomini.

E il Sapiente di Zolla? Sembra più resistente, perché più sottile: ma qualcosa non va lo stesso. Elémire aggira il tragico: vede troppo chiaro, manca spesso di stupidità, di ironica cedevolezza umana. Come tutti i sapienti, mi si dirà. Non esattamente: come i fini intellettuali che filtrano sofia dalla foglia secca ed enigmatica del passato. Il suo Sapiente è un mito, necessario ed anzi eccelso, ma anche in questa Arcadia c’è la morte: la Sapienza non si incarna mai in modo così sapiente. Non parlo solo dello Zolla guenoniano e tradizionalista; lo Zolla magnificamente equilibrato degli anni ’70-’80, generosamente acquariano, centrato e perplesso, è pur sempre il profeta di una delicata gnosi occidentale che dissolve i nodi turpi e sacri dell’occidente – una gnosi che supera il tragico con un gesto sovrano, fiabesco e imperfetto. Ricordi le sue repliche a tormenti occidentalissimi, come quello di Primo Levi nel racconto Trattamento di quiescenza, quello del Cioran “sadiano” etc.? Ricordi il suo Kafka cabbalista, l’umido di quella grande anima straziata cauterizzato da un ferro rovente? La sua inquisizione sul fantasticare? E i quadretti francofortesi dell’Eclisse dell’intellettuale, pur genialissimi – quelle visioni di subumani che ascoltano con rapimento autistico motivetti di due note, quella critica ferocemente sistematica del cinema, dell’arte moderna, di ogni minimo sussulto rivoluzionario –? Sublimi, profetici, parziali per troppa totalità, per troppo Uno.

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