Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



martedì 12 ottobre 2010

Appunti dell'uomo di campagna davanti alla porta della Legge/6


Chet

È intimo, e difficile da afferrare, il rapporto tra Spirito e disperazione, limite – l’estremo, l’eschaton. Lo Spirito è prossimo alla morte, ha a che fare con la morte.
L’uomo, lo sradicato fra i viventi, l’unico colpevole, fatto a immagine di Dio. L’uomo deinotaton (Sofocle), l’uomo zôon logon echon perché il logos stesso, portato dallo Spirito e da cui, in unione con l’Archè, lo Spirito procede, è diexodos, rottura, domanda. Il logos è il discorso intricato e unitario, il racconto, l’oracolo in quanto aperto al commento e alla realizzazione, l’enigma come segno del mistero, la tensione tra davar-annuncio e davar-cosa (nella lingua sacra, davar è la parola che pronuncia l’evento e l’evento stesso che avviene perché pronunciato): è la tragedia, è la Croce; è il presente storico. La tragedia è aperta nel logos, la Croce nello Spirito: la prima congiunge dionisiacamente, e dionisiacamente strazia, attraverso il semainein (Eraclito), la parola apollinea dell’oracolo; la seconda dona la primizia dell’unione, del Pneuma, attraverso la coesistenza lacerata, in Gesù, di segno e realtà, di fede e scienza, di annuncio e compimento (di uomo e Dio). Sulla scena tragica l’esibizione prolunga nel popolo “spettatore” il pathos oscuro, oracolare-e-mimetico, dell’eroe straziato; sul Golgotha, la scena dello strazio offre lo Spirito perché il logos è incarnato nel patiens, che sa e soffre, che è divinamente attivo e creaturalmente smarrito. La tragedia, logofora (come la profezia, cristofora), si fa dionisiacamente intima nel Crocifisso, si interna esplodendo in segno supremo e scandalo perfetto, e aprendosi al segno ultimo della Resurrezione è pneumatofora. La Croce, estremizzando la tensione tra mythos e logos, è un nec ulterius, un trauma dell’essere, un giudizio, dopo non si può che attendere e basta, dopo è lo ʽeth mashiach, il tempo del Messia, cioè, secondo un rabbino contemporaneo, il tempo in cui è dato attendere il Messia, anzi, in cui non resta altro.
Lo Spirito è prossimo alla morte, ha a che fare con la morte.

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