“Sai bene che, senza di me, non
esisterebbe né il mondo dei corpi, né quello delle anime: non vi sarebbero né
passioni, né impassibilità, né ventri gravidi di fanciulli, né destini gravidi
di virtù. Quando si ama qualcuno, per ciò stesso lo si desidera: tu sei un ramo
del mio albero immenso, e ti confondi con il resto della mia chioma. Perché non
hai nemmeno un nome, ma sei un mio soprannome, un mio appellativo”.
“Non nego che l’amore superiore
al desiderio nasca, sulla terra, dal desiderio: così il fuoco nasce dalla
matrice di legno in cui giaceva occultato. Ma dal punto di vista del cielo,
l’unico che conti per noi, che siamo idee divine o semidivine, è tutto
all’inverso: io ti abbraccio come una coppa di vino forte e purissimo sommerge
un grano di mirra, un puntolino d’amarezza, finché non diventi un aroma, un
dono invisibile di nostalgia e attenzione, uno strano ingrediente della festa
comune”.
“Capisco che il linguaggio ebbro
ti serva a nascondere un illimitato dolore, una povertà inospitale e
inospitabile: come altrimenti potresti reggere la tua vita di vagabondo
perpetuo? Ma proprio in questo tradisci la tua origine dal mio grembo vergine e
inesausto: non è forse desiderio ciò che ti getta sulla polvere, ciò che ti
forza a tracciare ogni volta il sentiero inaudito, inaspettato, insospettato?”.
“Desiderio, sì, se si può
desiderare senza oggetto: se si può desiderare l’assenza di desiderio”.
“Se anche ciò fosse possibile,
caro il mio mistico dei quadrivi, sarebbe pur sempre desiderio. E comunque,
spiegami, figlio bello e sfortunato: come si può desiderare senza oggetto?”.
“So che non ti piace ragionare
senza carne di esempi e pane d’esperienze. Guarda laggiù, quell’uomo”.
“Chi, quel disgraziato che prega
tenendo l’idolo del suo amato tra sé e l’icona di Dio?”.
“Lui”.
“Se c’è qualcuno sulla terra che
desidera, è quell’idolatra impazzito, quell’impossibile servo di due padroni”.
“Ne ha due, ne ha uno, non ne ha
alcuno”.
“E dagli con il fumo negli
occhi!”.
“No, sto cercando di vedere e di
farti vedere. Quel mortale con due gambe, quell’essere concepito nel modo che
ben conosci, e che non sarò certo io a disprezzare, sebbene tu sia incline a
credere il contrario, quell’idolatra, come lo chiami tu, ama il suo bello senza
desiderarlo”.
“Che vuol dire? Che non vorrebbe
averlo vicino, che non gli sta a cuore d’essere corrisposto, di ricevere da lui
uno sguardo, un sorriso, una carezza?”.
“No, se lui non lo vuole. Ma
neppure se lo volesse, e non lo vorrà mai, potrebbe muovere il suo desiderio”.
“E perché mai? Ha fatto un voto
particolarmente severo? Chissà quanto deve aver peccato, da giovinetto!”.
“Ha fatto un voto, sì: il voto
di essere devoto, di vivere alla presenza dell’amato, senza cercare nulla,
senza rifiutare nulla”.
“Non era meglio, perdonami,
riservare questi slanci all’Essere dipinto nell’icona, e lasciare all’idolo la
dignità di pensieri più umani?”.
“Credo di capire ciò che
intendi, e vi è bontà e giustizia nelle tue parole. Del resto, io non ti ho mai
respinto, mentre sei tu che mi rifiuti e mi sbeffeggi”.
“Come! Io ti rifiuto e tu mi
accogli! Ma se tu vai dicendo che ami senza desiderio, che è quanto dire
facendo a meno di me, ed io invece non faccio che ricordarti la nostra unità,
la nostra parentela strettissima, di sangue!”.
“Apparentemente, è così. Ma io
non ti contesto: tu contesti me, e cerchi di convertirmi”.
“Convertirti! Ma vivi come
meglio credi, figlio mio! Continua a vivere come quel romito allucinato, che si
mette uno specchio davanti al corpo inginocchiato credendo sia una finestra per
meglio vedere il volto del suo Dio!”.
“Proprio questo gli accade,
invece, se desidera senza desiderare: se lascia che il suo cuore respiri e
sospiri, gioisca e patisca senza attendersi consolazione e senza temere
amarezza”.
“Quanti ‘senza’, non trovi? Non
vi nutrirete solo di negazioni, vero? Altrimenti, è come ammettere che la
radice, il positivo, è altrove: ovvero qui”.
“Non mi nutro di negazioni: non
più di quanto se ne nutra un uomo che, per meglio vedere l’amico confuso nella
folla, concentri i raggi dell’attenzione ed acquieti le potenze che potrebbero
distrarlo”.
“E una volta che l’hai visto,
l’amico? Lo lasci lì dov’è, o speri che ti raggiunga?”.
“Se desidero che mi raggiunga, e
al tempo stesso desidero ciò che lui desidera, sono due desideri, sono uno, o
piuttosto nessuno?”.
“Senti, facciamo così: raggiungi
tu quel tuo amico solitario, laggiù, e cerca di trascorrere con lui un po’ di
tempo in una conversazione più intima e calorosa. Siete proprio una bella
coppia, non c’è che dire! Scusa, ma che vado delirando? Siete uno, non siete
nessuno etc. etc. Io me ne andrò in giro nel gran corpo dell’universo, e
canterò le mie canzoni con la solita ingannevole innocenza, i cui veli goffi e
inesorabili, ne sono certo, ti atterriscono tanto da indurti
all’annichilimento, a questo buio angosciato in cui arrivi a crederti il padre
di tua madre”.
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