“No, non farci caso” mi disse,
voltandosi come una vergine,
Giuseppe il Siro, l’amico più
fiero
e brillante, e solo allora capii
che era innamorato.
Lo feci parlare, come sanno i
compagni fedeli,
senza sbirciare nella ferita,
senza applicarvi
medicamenti non richiesti, non
inevitabili: “L’amore
che mi tiene”, riuscì a
confessare alla fine,
“non merita parole, perché è
vano, impossibile,
non è di questo mondo, né
dell’altro,
e tu sai che io amo, fin nella
chiusa
febbre delle ossa, entrambi”.
“Non voglio consigliarti, come i
volgari, lo sfogo
della passione in discorsi
infecondi,
che non danno piacere di lacrime
buone e sanno far male;
ma ti prego, in nome della gioia
spartita,
del dolore vinto dietro a un
unico scudo, in allegria di guerrieri,
in nome della fede nel Figlio
dell’Uomo, che ci ha riscattati
con il suo sangue prezioso, fratello,
se puoi,
fammi comprendere”. “Un amore
che non può nascere
né morire: hai compreso?”. “Non
so, continua”.
“Che potrebbe gettarmi in un
batter di ciglia
nella Gheenna del fuoco, se solo
provassi
a respirarci dentro, a viverlo:
che mi taglierebbe
le ali del canto, della
devozione, del senno,
se non ne ascoltassi il
messaggio, l’enigma”.
“Destino eccezionale, il tuo”.
“No, pazienza
e orrore, sotto un velo di
scherno, di niente”.
“Così rattristi lo Spirito”.
“Per questo mi dolgo
di aver detto il poco che
udisti”. “Non cambia
agli occhi del Padre, se
goffamente
balbetti con l’amico ciò che è
indicibile, o lo serri
nel buio solenne di un petto che
attende la spada”.
“Meglio la solitudine polverosa,
per me
e per te, credo”. “E per l’anima
tua, e la mia, e quella
(perdonami se lo evoco) di
lui?”. “Morirà
l’anima comunque, contemplando
il nodo
o lasciandosene strangolare”.
“Fratello, ti posso
chiamare così?”. “Nessun altro
nome
tra noi ha corso”. “Ti stringo
al mio cuore
lacerato dal peccato, confuso
dalla giovinezza,
come il tuo”. “Non bere neanche
una goccia
del vino che mi sta
dissolvendo”. A quel punto
lo vidi piangere, dritto ed
ardente,
e mi piacque il dolore di un
uomo ben fatto,
uscito invidiabile dalle mani di
Dio, sfregiato
da un intelletto di cristallo,
da una virtù di cenere,
crocifisso tra la bellezza
ferale della carità
e la musica luttuosa di tutte le
nostalgie.
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