Avevamo appena fondato la nostra
città, Roccabruna, alle pendici del monte sacro ai nostri maggiori: il
giuramento era stato cotto dal fuoco del convito comune e degli olocausti,
bagnato dal sangue, dal vino e dai fiati commossi; tracciato il perimetro,
fondato il tempio, distribuite le terre alle famiglie – ecco che uno straniero
dai lunghi capelli e dalla lingua di miele ci passò accantò e ci parlò
dell’Eldorado. Devo spiegarvi che sogno l’Eldorado dalla mia prima infanzia: e
l’ho visto, annusato, udito e assaporato sempre diverso, sempre nuovo,
fluttuante e sicuro, con le sue rupi inconsuete ma franche, le sue leggi
tenebrose e giuste, i suoi pinnacoli preziosi che tagliano il cuore in due, che
straziano l’anima senza briciole di massacro, facendole respirare l’aria della
saggezza compita. Ebbene, ci credereste? Non avevo ancora posato la prima
pietra della mia fattoria, che decisi di partire con il viandante sconosciuto.
I miei fratelli e sodali m’investirono con l’onda unanime della loro ira, della
loro nausea, del loro rapito sgomento: qualcuno cercò di cancellarmi dalla
memoria, qualcuno dalla terra. Non volli andarmene senza saldare il debito
delle parole: “L’Eldorado non è e non sarà mai la mia città. L’Eldorado è un
luogo di pellegrinaggio, in cui trascorrerò giorni difficili e benedetti,
nell’attesa o nel presagio della mia vera patria, che non esiste senza di voi”.
“Ma la tua patria è o non è quella che hai fondato sulle ossa dei tuoi
maggiori, Roccabruna cara all’anima e al respiro?”. “La mia patria inizia a
Roccabruna, passa per l’Eldorado, e finisce a Roccabruna. Ma dove sia l’altra
punta del compasso, lo sa il Cielo. E non mi riguarda”. “Disprezzi la tua
carne, la tua zolla. C’è bisogno delle tue braccia, qui, della tua gioia, del
tuo orrore. C’è bisogno della fedeltà che ha il colore dei sassi, che ha il
sapore dell’acqua”. “Sono nato per questo. E sono cresciuto per vedere
l’Eldorado e tornare”. Non ci fu modo di trattenermi. La sposa e i figli mi
salutarono con la stanchezza negli occhi, con un principio di disprezzo. Non
dirò nulla del mio viaggio strano e delicato, della sorpresa quasi ridicola,
delle lancinanti, misericordiose scoperte. Né racconterò la folgorazione, la
decisione sabbiosa del ritorno, le tappe uguali e oltraggiosamente inattese,
bagnate dalla rugiada di un silenzio di stelle, riarse da una fretta mondata di
ogni inutile presagio. Ed ora eccomi di nuovo a Roccabruna, non più amato, non
più odiato, libero dall’inquietudine: eccomi tra i miei, eccomi straniero come
le zolle che coltivo, come i maggiori che venero. La mia sposa, riaccogliendo
il mio peso di carne, porgendomi il pane, l’acqua e le vesti bianchissime, ha
appena detto parole che non dimenticherò: “Io non vedrò mai l’Eldorado. Tu non
vedrai mai Roccabruna: perché chi crede di vederla dall’orizzonte di un
pellegrinaggio è incantato dai propri occhi, e dimentica i propri piedi, le
proprie mani, il proprio ventre fecondo”.
sabato 3 agosto 2013
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