Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



venerdì 2 agosto 2013

The Ship of Death







Mi chiamo, ancora per poco credo, Marcello Del Pozzo. Stamattina, mentre mi radevo, sono morto. Probabilmente avevo un problema al cuore, nessuno ci ha mai capito niente. Mi sono accorto di essere caduto quando ho visto mia moglie che gridava sopra di me, come un campanile scosso da un terremoto. Ho detto che l’ho vista: mi sembrava di avere un occhio molto fluido e attento all’altezza della bocca dello stomaco, la cosa mi è diventata subito familiare e piacevole. Avrei voluto dire a Francesca: “No, non devi disperarti, che vuol dire essere qui, essere là...”, ma capii nel giro di pochi istanti che parlare non era possibile né desiderabile. D’un tratto fui colto da un’angoscia violenta, come quelle dei sogni, che non sono impolverate da mille abitudini e considerazioni, e proprio per questo sono qualcosa di denso e limitato, che rende la mente simile a un proiettile, con una traiettoria rapida e precisa. Sono morto, mi ripetevo, sono morto: Francesca scomparirà su un sentiero molteplice e strano, il cielo e l’erba si ripiegheranno nel buio del mio cuore, i gatti, gli elefanti e i moscerini avranno la stessa puntuale presenza, qui e da nessuna parte. Oh, ecco, pensai, che solenne coglione sei stato – trent’anni di inezie grandi come galassie, complicate come imperi, 364 mesi a masticare te stesso, per spremere questa morte nel cesso, con la schiuma da barba sulle guance e la rasatura lasciata a metà. Allora, come un commento fra due immagini, vidi una mosca posarsi sul mio ventre. Che enigma, che portento, amici che respirate! Occhi immensi, verdi e dorati, privi di tremori, ali d’ostia e di sepali, fortissime e delicate, un corpo sontuoso e profondo che non si vergognava di sé, e faceva vergognare il mio. Non pensai nulla, nulla di nulla, ma con la strana sicurezza che aveva segnato, appena un paio di volte, gli incontri segreti della mia vita mortale, la presi come guida, come destriero e maestro per il viaggio al quale solo il minimo, il disprezzato e l’inutile mi avevano, nei crocicchi della mia stupidità, soavemente, perdutamente preparato.

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