Il racconto ʻAlī Bābā e i quaranta banditi come
fiaba gnostico-ermetica. ʻAlī Bābā è l’anima mercuriale umile, prudente,
accorta: i quaranta banditi (ḥarāmī,
i “fuorilegge”, dalla stessa radice di ḥarām,
“proibito”) sono gli arconti del Tempo (quaranta è il numero dell’attesa della
rinascita, l’intervallo del digiuno, del viaggio nel deserto, dell’isolamento
purificatore), che penetrano nella caverna del cosmo per utilizzarne i tesori;
osservandoli nascosto nella chioma di un albero, ʻAlī Bābā carpisce le “parole
di passo” che consentono di aprire e chiudere la porta di pietra, “Apriti,
sesamo” – “Chiuditi, sesamo”. Il seme di sesamo è tra i più piccoli, immagine
del quantum omeopatico di fede che smuove, trasmuta la pietra delle montagne, è
come il puntino sotto la bā’ da cui è
creato l’universo, è l’atomo da cui si estrae la potenza di mille soli, è la
fonte di un olio caldo e sulfureo, è il seme di banyan della Chāndogya Upaniṣad.
La serva Marjāna (“Corallo”, uno dei simboli della Pietra), sapida, salina,
uccide i fuorilegge, consentendo al padrone di divenire il segreto possessore
di tesori infiniti. Il fratello di ʻAlī Bābā, Qāsim, “Colui che distribuisce i
beni”, nome di uno dei figli maschi del Profeta (tutti morti fanciulli),
invidioso, impaziente e imprudente, dimentica la formula per uscire dalla
caverna e viene ucciso e squartato dai Quaranta: la croce degli elementi lo trattiene
nella morte, nell’abisso, è la parte dell’Opus e dell’anima che non sopravvive
alla “morte seconda”, ma con il suo sacrificio nutre la prosperità dell’altro.
lunedì 26 agosto 2013
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