Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



domenica 26 giugno 2011

Foglietti pitagorizzanti


Esistenza, shunyata, che il mondo è: inconoscibile-indicibile.
Essenze-idee, nomi-forme, come il mondo è: astrazioni dall’integrità dinamica dell’esistenza, possibili – nell’esistenza sono l’esistenza stessa e quindi necessarie; nella loro articolazione di relazioni, di forme delle cose sono contingenti, il loro opposto è possibile.
Da un lato la necessità, manifesta nelle tautologie: dall’altro l’impossibilità, manifesta nelle proposizioni contraddittorie. Tra luce e tenebra c’è l’aurora-crepuscolo, il trascolorare della possibilità-contingenza, il sogno della manifestazione, della molteplicità. Niente può decidere tra sogno e “realtà”: le cose sono reali solo nel Reale, ma in quanto essenze, in quanto nomi-forme, mahiyyāt, sono contrazioni dell’Esistenza-Realtà, prospettive – irreali in se stesse, in quanto separate o indipendenti, reali nell’interdipendenza che ne fa specchio dell’Uno. La contrazione-astrazione è la mente stessa, il riflesso stesso dello specchio, il ritorno su di sé della Consapevolezza pura: una vibrazione d’ignoranza, un movimento che turba la quiete originaria, ma in questa vibrazione, in questa contrazione l’originario si manifesta, e non può che manifestarsi così – sebbene il modo di manifestazione, preso in sé, sia sempre non-necessario, pura relazione.
Il logos come la proporzione-proiezione di Leibniz. Noi conosciamo solo il segno, conosciamo per speculum, ritroviamo noi stessi, verum est factum, e al tempo stesso nel segno conosciamo solo la realtà, perché la realtà si dà come segno e il segno è pars totalis della realtà. La conoscenza umana è sempre conjecturalis, una costruzione, un’astrazione che partecipa della verità nell’alterità, ovvero non in modo mediato né immediato, per somiglianza, ma in modo proporzionale, mostrando-porgendo il logos nell’espressione (Wittgenstein). Dunque la conoscenza è simbolica.
Il modo in cui le essenze si correlano, si legano in unità nella proposizione e nel pensiero, nell’immaginazione e nell’espressione, manifesta ciò che non può essere detto-conosciuto, ovvero l’esistenza, il “mistico”. Il logos, la forma logica, la habitudo, nel suo statuto teoretico-pragmatico, arcaico perché prossimo all’archè, è la musica simbolica, la traccia del suono primordiale nella visibilità-tangibilità del segno, del corpo: per questo ascoltandolo, dice Eraclito, è sapienza convenire che tutte le cose sono uno, e che l’uno è tutte le cose (e dice homologein, accordarsi col logos, risuonare armoniosamente, essere in rapporto proporzionale).
Tutto ciò che vediamo-prendiamo lo lasciamo andare: il conoscibile è il maneggiabile, è il factum, le cose manifeste come proiezioni di desideri, visioni-intuizioni cui si sovrappone una passione. Tutto ciò che conosciamo è astratto, è opera nostra, per questo lo lasciamo andare, lo perdiamo, la sua legge è l’entropia, la morte. Ma tutto ciò che non vediamo-prendiamo lo portiamo: è la vita, l’esistenza, non conoscibile e non maneggiabile, la sua legge è la sintropia, o meglio la pura ostensione come fine a se stessa, telos a se stessa, il lampo di stupore-ignoranza da cui tutto promana e in cui tutto si acquieta. Ciò di cui non si può parlare, l’inconoscibile-indicibile lo portiamo in noi o piuttosto su di noi, lo mostriamo essendo, è la nostra forma, la nostra manifestazione come manifestazione del Reale, quel Volto che non vediamo mai proprio perché lo vediamo sempre in proiezione, in prospettiva.

Il punto (semeion) è l’immagine della monade in quanto dotata di thesis, di posizione: in quanto 0 e 1; 0 come scatto e vibrazione originaria, considerata cioè in modo dinamico: 1 come sostanza, in modo statico. Fuoco.
La linea (grammè) è la rhysis del punto: è l’acqua, la diade, l’uscire da sé, la relazione-irraggiamento che apre lo spazio, l’immagine del continuum temporale-causale.
La superficie (epiphaneia) è aria e luce, la moltiplicazione, lo spazio delle relazioni, del logos, la superficie dello specchio, la rappresentazione. I suoi limiti sono le linee, linee di forza, relazioni, irradiazioni.
Il volume (stereòn) è terra e tatto, la convessità dello specchio, il limite che chiude il mondo davanti all’uomo e la base della sua epistrofè.

L’aritmetica è la scienza del discreto, delle idee/possibili, dell’intelletto, dei numeri come teofanie dell’Uno, come henofanie.
La geometria è la scienza del continuo, dell’immaginazione e della ragione, dei rapporti/logoi. Il rapporto alogos tra diagonale e lato del quadrato: continuo e discreto sono incommensurabili, come idee e individui (materia), ma anche come essenze e Realtà/Uno (hen, syneches, dice Parmenide).

Ogni numero è unità e collezione di unità, uno-molti. L’uno stesso può essere concepito, per mostrarne la natura ambigua (immagine dell’Uno non moltiplicabile, unità che genera, moltiplicandosi, le unità), come l’oggettivazione dello 0. Il due, la diade, è il rispecchiamento primordiale dell’uno, la grammè originaria come flusso, eros, fiotto di sangue, l’uscita da sé della vibrazione raccolta, della monade, la donna, l’immaginazione. Se il tre è l’epiphaneia, lo è in quanto epifania dell’uno, partecipazione prima dell’uno, e nell’uomo la doxa, la congettura, la ragione. Se il quattro è lo stereon, il solido, e nell’uomo la sensazione, lo è in quanto fondamento della tetraktys, della decade e quindi del tutto, termine della manifestazione dell’uno: il volume come onkos che è l’ombra sostanziale/insostanziale proiettata dall’Uovo parmenideo, il toccare come forma primaria di conoscenza animale.

Punto: monade minerale-divina; linea: monade vegetale-angelica; superficie: monade animale; volume: monade umana.

Nessun commento:

Posta un commento