Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



martedì 8 ottobre 2013

Filastrocche e ninne nanne




Per Emanuele

Ambarabà-ciccì-coccò,
tre civette sul comò
che facevano l’amore
con la figlia del dottore,
il dottore si ammalò,
ambarabà-ciccì-coccò.

Le tre civette: la civetta, il gufo, compare nell’iconografia delle antiche dee della sapienza, come Iside e Atena. Rapace che vede di notte, e ovvio simbolo lunare: la luna come specchio che riflette l’inguardabile, l’invisibile Sole, ma specchio profetico, prensile, magico, com’erano appunto gli antichi specchi di rame (materia venerea, profetica, magica, legata al serpente nel mondo mediterraneo). Le tre civette potrebbero essere i tre volti della luna e della dea. Ritornano, insieme allo specchio, negli episodi di Till Eulenspiegel (Gufo-Specchio), il mercuriale personaggio della Germania medievale, buffone e mago.
Il “comò” della filastrocca potrebbe appunto alludere allo specchio, alla specchiera davanti alla quale si fa toeletta – e si incontra il proprio sguardo, lo sguardo dell’alter ego, sperimentando ogni mattina il brivido da cui nasce l’universo. Nel mito isiaco lo specchio è sapienziale e magico insieme: le operazioni magiche si avvalevano spesso dello specchio o della sfera di cristallo, anche se nel secondo caso il mago attendeva che la pura diafanità si animasse di rivelazioni, mentre nel primo la transe era provocata dal proprio straniato riflesso.
La figlia del dottore “fa l’amore” con le civette: si tratta probabilmente di Venere, la stella del mattino, che intorno all’equinozio di primavera viene vista amoreggiare con la Luna nel suo aspetto maschile di Lunus. Il dottore, il Sole, si è ammalato d’inverno: la conta, “ambarabà-ciccì-coccò”, modula sulle dita della ‘mano filosofica’ il cammino di morte e resurrezione del Luminare Maggiore nel suo momento di massima crisi, al nascere del nuovo anno (zodiacale).

Ninna-nanna, ninna-ò,
questo bimbo a chi lo do?
Lo darò alla Befana,
che lo tenga una settimana.
Lo darò all’Uomo Nero,
che lo tenga un anno intero.
Lo darò al Bambin Gesù,
che lo tenga un giorno in più [variante caduta in disuso in tempi recenti: “Che lo tenga e non lo porti più”].

La ninna-nanna, come ha confermato con i suoi studi Marius Schneider e come chiunque può intuire senza bisogno di documenti, inizia il bambino ai misteri della catabasi nel sonno-morte, identificandolo con il Sole fra l’equinozio d’Autunno e il Solstizio d’Inverno. La culla dondola come la nave della morte sul fiume infernale.
Si affida anzitutto il piccolo alla Befana, che alla festa delle Luci, l’Epifania del piccolo Sole o Re del Mondo, segna il transito dalla Terra-Luna ormai invecchiata al nuovo anno lunare: terrà il bimbo per una settimana, tempo simbolico della ri-creazione del mondo, come i Giorni del Timore nel calendario ebraico fra il Capodanno e Yom Kippur. A questa prima morte segue la seconda: dal limbo si discende nell’Ade vero e proprio, dove regna l’Uomo Nero, Hades appunto. Un anno è la durata simbolica delle pene nel Gheinnom per la tradizione ebraica, ed è un intero ciclo solare. Al termine del descensus l’iniziato è pronto per essere consegnato al suo gemello celeste, che lo tiene un giorno in più, ne sa una più del diavolo (dell’Uomo Nero), l’Unum Necessarium.

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