Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



mercoledì 2 ottobre 2013

Il denaro risponde a tutto (Qo 10,19)





Bloy: il denaro è il Sangue del Povero, cioè di Cristo. Mercurio fluente, correlativo del desiderio illimitato, astrazione che valica le distanze: il denaro nasce con l’autonomia del logos, erode la sussistenza e la terra, la fruizione e la pace comunitaria, come il logos filosofico erode la percezione poetica della singolarità, del concreto, la terra pura della mente umana. Il cambio, la finanza è l’elenchos del denaro: trattato come merce senza esserlo, di fatto crea valori, deforma il tempo, sconvolge la rettitudine economica arcaica facendo dell’egoismo e dell’inganno motori di progresso, di estensione del mondo e del benessere. Elenchos perché è al contempo l’incantesimo supremo e il disvelamento, l’apocalisse dell’incantesimo.
Il denaro: onnipossibilità che si finge onnipotenza.
Sangue, mercurio originario, getto della mente creatrice: il Figlio come uscita dal Padre, e come fondatore e fondamento della Chiesa. La Chiesa custodisce il deposito della fede, il pegno della speranza: è una banca, un istituto di credito. Gesù esorta a trafficare i talenti, la fede si basa sempre sulla certezza di un possesso virtuale, di un capitale. Il fedele deve imparare l’astuzia dei figli delle tenebre, trasferirla al rapporto con Dio e con i fratelli, trasfigurata. D’altronde, se il denaro è il sangue di Gesù, il sangue di Gesù è la vera moneta corrente dei cristiani: tra fratelli l’uso del denaro andrà ridotto al minimo, come l’uso della morale astratta, che distanzia il fariseo e il sacerdote dal giudeo mezzo morto nella polvere. La moneta del tributo, il denario, è un pezzo di materia, creata da Dio per glorificarlo nel culto, su cui un principe ha stampato il suo nome e la sua iscrizione: si restituisca al principe la magia che ha creato – pagandogli il tributo e basta, eventualmente – e si restituisca a Dio ciò che Dio ha creato, l’impronta divina sulle cose e sull’anima, una volta che ci si è liberati dalla catena sottile del tributo.
Il denaro è il sangue del povero anche nel senso che un’economia fondata sul denaro è fondata, di fatto, sull’esistenza dei poveri. L’eccesso di commercio sradica la comunità come sradica i beni, l’eccesso di denaro rende possibile l’usura, una società di salariati o di datori di salario, una società in cui la spremitura del povero è il rituale centrale. L’avidità, dice Bloy, è il peccato specifico dell’età del Figlio: un peccato contro la speranza, dunque contro la fraternità. Legame tra commercio, imperialismo, perdita delle qualità locali, ‘vernacolari’, comunitarie.
Il sangue del corpo sociale è l’immaginazione, che nel denaro si fa idolo. Lo Zahir di Borges: lo scintillio del possibile che avvince più di ogni catena. Una anonima banconota trovata per strada: è la forza coagulata di milioni di immagini. Non più la luce minerale dell’oro e dell’argento ci incanta, né la moneta tonda come il sole e la luna, ma un pezzo di carta, un’assicurazione, qualcosa di assai più sfacciatamente ermetico. E oggi sappiamo tutti, vagamente, che dietro non c’è nulla, ‘se non’ il magico samsara dei debiti e dei crediti, il gran gioco che è sangue e ci succhia vampiricamente il sangue.
Parlare con un povero è parlare con un essere esangue, spettrale, con un morto che cammina: ogni battuta sarà un esorcismo complicato ed inconscio, una manovra preservativa. Artaud, lo stregato, il reietto, sentiva paranoicamente che i borghesi si riunivano, come i malvagi incantatori dei salmi, per sottrargli cibo e sostanza – per nutrirsi di lui. Non è nient’altro che una messa nera, perché non vi è tertium fra la messa nera del divorare la carne e tracannare il sangue del fratello e l’eucarestia o resa di grazie per il sacrificio del Fratello celeste e terrestre, che deve innestarci come tralci nella mistica Vite. Finché vi è miseria, intima ed economica, Cristo è sulla croce, il bodhisattva velato nel samsara, il tempo e lo spazio aperti nell’angoscia di un’attesa breve come la perennità.

Ma devo pur vivere “Non ne vedo la necessità”. Il povero è incatenato alla contingenza radicale, cui il fratello non può ridurlo senza con questo trattarlo da piccolo dio, da Satana. Quando si dice che la vita è rischio per giustificare l’insicurezza del misero, gli si sta dicendo: “Non vedo la necessità della tua esistenza”. Solo Dio la vede: perché l’uomo, la più povera delle creature, è la più contingente, ma proprio perché ha stampata nell’invisibile l’immagine dell’Essere Necessario, di colui che non ritiene harpagmos, possesso esclusivo, l’eguaglianza a Se stesso.



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