Salvo ove altrimenti indicato, questo blog contiene testi originali di Adriano Ercolani e Daniele Capuano



martedì 29 novembre 2011

Ancora sulla profezia


Rosmini insegna che si danno due tipi di cognizioni: quelle per intuizione, che hanno per oggetto i possibili, le idee; e quelle per affermazione o di giudizio, che ci danno persuasioni sugli oggetti conosciuti, ovvero sulla loro “sussistenza”, esistenza e realtà. Così l’idea è l’essere possibile e, in quanto ideale, universale e necessario; l’essere reale, “conosciuto” attraverso la persuasione, l’assenso-giudizio, è contingente, necessario in alio (in Dio). Il nostro lume naturale coincide con l’intuizione dell’essere; la presenza all’essere è poi la contemplazione.
La distinzione fra tajallī, teofania, e nuzūl, discesa-rivelazione, è analoga a quella fra walāya, intimità mistica con Dio, e nubūwwa, profezia: il profeta veicola la discesa del Reale in una parola efficace, ripete la creazione. Per questo è necessario (liberamente necessario, più che necessario) l’assenso-fede (che ripete il mithāq originario, l’alleanza di misericordia tra Dio e ogni creatura): senza l’assenso al nuzūl non si dà l’esperienza del tajallī, della manifestazione divina in ogni cosa e in tutto. Virtualmente (e realmente, ma oltre il viluppo della storia, non al di sotto di essa, ritirandosi da essa) Dio è creato in ogni credenza-testimonianza, di fatto ogni conoscenza si inserisce in un ciclo profetico determinato, in un pragma, e lo riflette-dispiega (compie).
Schopenhauer asserisce l’anteriorità della volontà nei confronti dell’intelletto: Wittgenstein quella dell’azione (rituale) rispetto alla conoscenza; Lévinas e la tradizione rabbinica quella del faremo sull’ascolteremo (naʻaseh we-nishmaʻ). L’uomo esiste, ogni sua conoscenza interpreta-chiarifica un kun! creatore che a sua volta manifesta il Realissimo: la fede profetica, pragmatica, è la suprema mediazione, il nodo (ʻuqda) supremo.
Nel pensiero greco è reperibile un simile fondamento (archè) dell’intellettualismo dominante? Forse il fine “etico” di ogni theorein (P. Hadot) (e anche, secondo Vico, il verum est factum, la conoscenza umana come creazione, conjectura, poiein).
Che il mondo è (Wittgenstein) – che questa cosa è – è il mistico. Il mawjūd, l’ente, è manifestazione del wujūd, dell’atto di essere, nella sua unità-unicità (wahda).
La cosa, al-shā’y, deriva secondo i sufi dal verbo shā’a, volere-consentire: l’ente-mawjūd esiste in quanto voluto, e quindi in quanto marhūm, oggetto di misericordia.
L’esistenziazione è un atto di volontà: nel platonismo è espressione della “natura”. L’abramico fa dell’emanazione naturale un’“effusione” (fayd) volontaria, perché Dio come Esistenza e Realtà è la suprema determinazione (huwiyya). Volontà-Misericordia è il nome di questa physis, la physis divina è libera ovvero è actus, soggetto supremo, Spirito. L’Essenza divina (dhāt) resta nascosta-indipendente, eppure vi si “accede” nella perfezione dell’itinerario conoscitivo-unitivo (si “accede” alla natura divina tramite le relazioni trinitarie: nel sufismo attraverso l’uni-diade rabb-marbūb, Signore divino-vassallo. È il quarto stadio o divisio naturae di Giovanni Eriugena, il nihil come eschaton, esito dell’epistrofè-teshuvah: non c’è identificazione-ittihād, ma un Deus totalis che è Realtà realizzata, Uno realizzato come Non-Due, consumazione dell’amore).
La fede profetica come impegno-berith-mithāq sta alla ragion pratica come la presenza estatica all’Uno a quella teoretica. La fede è principio e fine della ragione: ragione e intelletto sono la mediazione – eppure si ha unificazione e armonia indicibile nella beatitudine suprema.

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